sabato 28 dicembre 2013

Il regalo più brutto della mia vita.

Quest'anno è stato il Natale forse più incredibile. 
Arrivato il momento dei regali, mia sorella mi porge con un largo sorriso un pacco enorme e pesante. C'era un biglietto vicino al pacco, vergato con dolce calligrafia da mia madre. 

Caro figlio,
dici sempre che non vogliamo che tu te ne vada da casa. Qui troverai strumenti utili per la tua nuova vita. Tante care cose, 
Mamma. 

Bene da poco ho preso casa e sto aspettando che finiscano di produrre questo dannato bilocale, in un complesso vicino casa dei miei. Ho trentatrè anni e vivere ancora con i propri genitori è vista ancora come situazione imbarazzante. Per uscire dalla figura di simil sfigato ho preso casa, ma spesso i miei mi rinfacciano questa scelta come ottusa, in quanto andrei da solo e sarebbe una vita alquanto triste e miserrima. Incurante ho fatto il passo. 
Però devo dire una cosa: nell'aprire il pacco si è presentato un set completo di pentole, e devo dire che a momenti mi mettevo a piangere. Ma che regalo è un set di pentole? Mia cugina girava per casa con la sua macchinina lego nuova fiammante e io quelle pentole le avrei volute buttare dritte tutte dal terrazzo. Io vivo in un mondo ancora colorato, fatto di pupazzi e personaggi immaginari, buffi e cicciotti, coccolosi e sonnacchiosi. 
E' proprio vero che a un certo punto bisogna crescere. 

lunedì 23 dicembre 2013

Saper ascoltare. Il segreto di Bach

Mi è sempre piaciuto ascoltare Bach. Voglio dire, la sua musica ha sempre avuto qualcosa di strano che non sono mai riuscito ad interpretare. Pur avendolo studiato tanti anni fa, quando suonavo il violino, qualcosa mi sfuggiva, non riuscivo a spiegarmi questa bellezza. 
La musica romantica, soprattutto certi concerti, danno libero sfogo a una voce sola. Sono una dichiarazione d'amore, una voce potente, un fiume in piena. Monologhi in cui perdersi ed emozionarsi. Ci vedi la passione, il dolore, la vita e la morte. Tutto insomma. Ma tutto parte da una voce, uno strumento, un insieme di strumenti. C'è il protagonista insomma. E il resto è comparsa. 
In Bach scopriamo la magia del dialogo. Questa cosa l'ha detto un musicista una sera nella trasmissione di Fabio Fazio. E' lì che ho capito. Il senso del suo modo di fare musica. Si impara a dialogare con Bach, siamo abituati sempre a prevaricare sugli altri, ogni giorno su Fb c'è gente che vuole parlare, dire la sua su ogni aspetto dello scibile umano: arte, politica, sport, vita vissuta. Siamo importanti noi. Quello che abbiamo dentro. 
Bach ti insegna ad ascoltare. Ho scelto di postare questo link perchè è chiaro qui come le due linee musicali sanno rispondersi. Quando un mio amico mi svela qualcosa di importante spesso non so cosa dire. Di fronte a certe preoccupazioni e sofferenze, siamo muti. Come se la parola non servisse. Eh no, cavolo, qualcosa bisogna dire. Forse non so cosa dire perchè non so ascoltare, se ascoltassi davvero, senza pensare a me, allora le parole giuste le troverei davvero. 
Questo è un concerto per oboe e violino. Uno parla, e l'altro risponde. Ma la risposta non è una risposta qualunque, quando l'oboe risponde al violino è perchè il violino è capace di sentire, di comprendere, e ti dà la risposta, come farebbe un padre o un vero amico. 



sabato 21 dicembre 2013

Alberi erranti e naufraghi. Alberto Capitta

Ho scoperto questo romanzo ascoltando la trasmissione Farhenhit di cui ho già parlato. 
E' una trasmissione di Radio Tre e ogni anno assegnano un premio: il premio libro dell'anno.
Da tempo sono innamorato delle storie degli scrittori che lavorano un pochino nell'ombra, quelli che fanno di questo mestiere una bandiera, un credo, un volerci stare a tutti i costi.
Leggendo della sua biografia scopro che con il suo primo romanzo è stato finalista del Premio Strega,  e vincitore del premio lo Straniero. Eppure Alberto Capitta non è un autore sulla bocca di tutti, uno di quelli che vedi in continuazione nelle classifiche delle librerie, che urlano al mondo che anche la letteratura è per forza una competizione. 
Così ho deciso di comprare questo romanzo, non appena ho saputo del premio. Unica copia presente nella mia libreria di fiducia, porto a casa questo piccolo gioiello con una copertina stupenda. L'ombra di un ragazzo con una sedia legata alla schiena tiene la mano a una bimba, e un altro bambino è al loro fianco. 
Questo romanzo si chiama "Alberi erranti e naufraghi". Per quei pochi che leggeranno questo post dico solo una cosa: andate a comprare questo libro. Cercatelo, ordinatelo, rendetelo presente. Su quegli scaffali dove è sempre qualcun altro a decidere cosa è meglio leggere. 
Alberto Capitta ha una voce che non urla, non ti schiaccia, non vuole impressionarti a tutti i costi. Comincia a parlare piano, lentamente, dosando l'uso di ciascuna parola, andandola a cercare nei meandri di un linguaggio che non sappiamo più usare. Parole che si costruiscono a poco a poco, come un mosaico di tessere ben ponderate. Capitta fa parlare la natura: gli alberi, i fiumi, il mare, il vento, la pioggia. 
I personaggi di questo libro non vengono perdonati dalla società perché a loro basta poco, perché sono troppo felici di vivere, perché non riescono a non ringraziare il creato di questo dono immenso, non sono capaci di trattenersi e abbracciano gli alberi. Non c'è comprensione in una società che sbraita per chi preferisce il silenzio, la cura del mondo piccolo, lo spazio di un sorriso di un bimbo.
E allora eccola che la vedi la forza prima della natura: si fa strada nelle parole, che vengono invase da germogli che crescono, il crepitare dell'acqua, il fragore di un onda sulla riva.
Bellissimo.

giovedì 19 dicembre 2013

Alla fine l'ho pubblicato in rete. "Il Cacciatore di canzoni" on line.

E' stata una sola frase a far per così dire "traboccare il vaso". 
Nella infinita ricerca di case editrici che potessero leggere il mio libro, e dopo aver fatto una serie di assurdità, ho trovato una pagina dove l'editore di turno scrive questa frase nella sezione: INVIO MANOSCRITTI. 
"Non inviateci manoscritti dove non succede un cazzo". Chiedo scusa per la volgarità ma è esattamente quello che ho trovato. Non esiste un serio interesse, e non è colpa di nessuno. Ci sono centri di potere che scelgono su chi puntare, e in fondo sono aziende, fanno bene. Ma quella frase mi ha fatto davvero incazzare. Scusate per la seconda volgarità. Così eccoci arrivati al dunque. Ho scelto Ibookstore come piattaforma perchè è quella che mi sembrava più vicina ad un biblioteca virtuale. Si può scaricare gratuitamente basta cercare il titolo del mio romanzo che ormai ripeto in continuazione. Mi perdonerete anche per questo. Per la prima volta pubblicherò la copertina del mio libro. Eccola qui. 




martedì 17 dicembre 2013

Fahrenhit Radio Tre

Negli ultimi mesi ho scoperto questa fantastica stazione radio. Radio Tre. La programmazione pomeridiana mi andava stretta. Io guido tutto il giorno, e non mi sentivo mai rappresentato da nessuna stazione. Il pomeriggio sembra che la gente voglia rimbecillirsi. Stupidaggini, facezie, scherzi telefonici, canzoni martellanti ... non lo so ... ma avevo bisogno di sentirmi al centro. Qualcuno che parlasse a me. Spesso i deejay mi innervosiscono, su certe stazioni, sembra che ci godano a prendere in giro quelli che chiamano per avere una voce. Anche le persone che chiamano sono prodotti, da mettere uno in fila all'altro. 
Radio Tre va al di là di ogni ragione commerciale. La programmazione spazia dalla letteratura, alla storia, alla poesia e alla musica classica. 
Ho scoperto questo programma che si chiama Fahrenhit. Parla di libri. Non solo di libri, ma di quelli che ai libri ci credono ancora, e questo programma ha la capacità di dar voce ha un'umanità incredibile. C'è una rubrica in questo programma che si chiama "Caccia al libro". Oggi mi stavo per commuovere. Le persone chiamano con la speranza che qualcuno abbia con sè un libro che non riescono più a trovare da nessuna parte. Manuali di grafologia, trattati di psicoanalisi, libri per bambini, romanzi d'appendice, di tutto. Oggi ha chiamato un papà. Sua figlia ha visto un film scritto da una poetessa gallese. Vorrebbe regalarle un libro di fiabe che ha scritto e che ora è introvabile. Fuori catalogo da chissà quanto tempo. 
Finchè un padre sarà alla ricerca disperata di un libro di favole introvabile. Un libro speciale da donare un figlia, credo che la speranza in questo mondo non finirà mai. 

domenica 8 dicembre 2013

Blue Jasmine.


Woody Allen parte sempre da un presupposto. E' per quello credo che mi piace così tanto. Lo spettatore non è uno sprovveduto. Non ha fretta. Lo spettatore è una persona intelligente. Una persona con una certa cultura, e comunque se viene a vedere un mio film, si aspetta di essere messo alla prova. 
Mi è piaciuta moltissimo la prova della protagonista. Una interpretazione davvero da Oscar. I personaggi di Woody Allen hanno la caratteristica di camminare sulle nuvole. Sì, non saprei come altro spiegare l'attrazione che provo per le sue sceneggiature. 
In uno dei suoi film più famosi (Io e Annie) Allen e Diane Keaton dicono delle cose e ne pensano altre. Il regista sceglie di mettere i sottotitoli ai pensieri. E' quella la cifra stilistica che si ripete in ogni film. I personaggi sono avvolti in enormi nuvole di parole. Se le portano appresso: ci camminano dentro e si proteggono dalla vita con elucubrazioni inutili. La parola è il demiurgo con cui ognuno dei protagonisti è convinto di plasmare la propria vita. E' un falso Dio, un mito a cui la mente si appoggia per calmare la propria ambizione mancata, la propria frustrazione. Non c'è dramma in fondo in questo commedia drammatica: c'è la convinzione forse di sistemare sempre le cose, magari con qualche bugia, con qualche finta prova di umanità, con qualche ridicola beneficenza. Le parole sono proiettili che, verso la fine del film, si scoprono incapace di colpire. Vuote e stanche trascinano la protagonista nel baratro della propria ipocrisia.

venerdì 6 dicembre 2013

I cinque fattori per un ottima cioccolateria. La mia preferita è a Ghiaie !


Se c'è un posto dove mi piace andare per rilassarmi è le cioccolateria. In realtà non è facile trovarne una davvero fatta bene. 
Sono tanti gli ingredienti che ci vogliono per una cioccolateria perfetta. Un posto giusto deve avere: 

- Ottimo arredamento. Quando entro in una cioccolateria voglio entrare in un mondo magico, fatato. Molto curato, sia nella luce, che negli interni. Voglio dire: pareti colorate possibilmente, tinte calde ma non violente. Tavolini accoglienti, sedie originali ma comode. Giusta distanza fra i tavoli per non sentire ed essere infastiditi dal vociare di chi ti sta a fianco. Qualche divanetto e dei bei cuscini. 

- Baristi sorridenti e vestiti in modo accogliente.  E' sempre più difficile trovare persone con la voglia di sorridere. Soprattutto nei locali. Siamo d'accordo c'è la crisi, la situazione è dura, ognuno ha i suoi problemi. Ma proviamo almeno a sorridere quando facciamo un lavoro così! Mi piace quando la cameriera ha la veste lunga, sbuffosa, il viso smagliante e pieno di gioia. Lo so, scritto così può dare l'idea di una matrona tedesca. Ma è un po' quello l'effetto che mi piace. 

- Le tazze e le teiere. Il menu. L'oggettistica. Ci vuole effetto e cura. Il sapore di quello che mangiamo è influenzato per il 50 per cento almeno da quello che vediamo. L'occhio influenza il cervello e il cervello il gusto. Spesso mi capita di vedere tazze e teiere fatte in serie. Ma quando prendo un tè o una cioccolata, è come se vivessi un'esperienza: ci vogliono gli strumenti giusti, i riti vanno praticati con gli ingredienti giusti. 

-  La musica. La musica deve quasi non esistere, un piccolo tappeto, leggero. Deve essere una parte dell'arredamento, se vuoi lo vedi se no, no. In cioccolateria vado per chiacchierare con un amico, alle volte ci sono andato per conquistare una ragazza. E spesso funziona, se sei nel posto giusto. 

- No televisione e no slot! Niente slot, niente televisione. Se voglio vedere la partita me ne sto a casa, e non voglio che il mondo interferisca nell'universo del cioccolato. Mi sto ristorando, sto entrando in contatto con la parte mistica di me stesso quando bevo il cioccolato. Sto entrando in un mondo del passato, quindi la tecnologia che mi stia il più lontano possibile. Almeno in cioccolateria. 

Ce n'è una sola che rispetta perfettamente tutti questi requisiti: correteci se non ci siete mai andati e vivete in Lombardia. E' la cioccolateria di Ghiaie a Bonate. Cioccolateria Principe Umberto. Complimenti a chi l'ha ideata e al sorriso di chi ci lavora.

martedì 3 dicembre 2013

L'amico immaginario. Matthew Dicks


Vado pazzo per questa cosa. L'amicizia intendo. L'ho già detto diverse volte. 
Come si definisce l'amicizia? E' un valore? Un sentimento? Una passione? Un rapporto? Una sensazione? Come si spiega l'amicizia? 
E' una delle cose che faccio più fatica a spiegare. Forse l'amore è più semplice da spiegare. Ha più una ragione, c'entra con la natura, con il fatto che siamo uomo e donna. Con la necessità che tutto prosegua nel mondo. 
Ma l'amicizia? Perché voglio così tanto bene ai miei amici? 
Questo libro è stata una rivelazione assoluta. Un bambino autistico ha un amico immaginario, Budo. L'io narrante non è il bambino, ma l'amico immaginario. Solo questa idea che ti mozza il fiato già dalla prima pagina basterebbe per non smettere mai di continuare a leggere questo libro, pagina dopo pagina. 
Questo romanzo è molto di più di una semplice idea. Il linguaggio, i temi, il cuore. C'è dentro tutto. 
Un autore che inventa un modo di scrivere, un nuovo modo di spiegare il regno dei bambini agli adulti. E quello degli adulti ai bambini. 
Dicks Matthew affronta ogni tema scomodo con la leggerezza di una farfalla: svolazza sul tema della disabilità, della solitudine, perfino della morte. Una leggerezza che ti stringe il cuore fino a farti piangere perché hai dimenticato. Hai dimenticato come ci si sente da bambini, come vedi il mondo, come i colori e le sensazione ti si disegnano addosso. 
Non si può mai voltare le spalle al bambino che hai dentro. 

lunedì 2 dicembre 2013

L'inizio più bello nella storia della musica.

L'ho già scritto in un altro post. Eppure mi è rimasto talmente impresso che non posso dimenticarlo. Ogni scusa è buona per ricordarmi questa bellissima domanda. 
In "Prove d'orchestra" di Federico Fellini, una bambina chiede a una musicista una cosa che solo i bambini sanno chiedere. Domande così arrivano solo dall'intelligenza infantile. 
"Ma dove va la musica quando finisce?" 
Non riesco a liquidare la scoperta di Wagner così in fretta. Devo dire ancora questa cosa. 
All'inizio dell'Oro del Reno Wagner si interroga sul significato contrario di quella domanda stupenda.
 "Da dove arriva la musica prima che esista?".
Nell'overture dell'Oro del Reno, Wagner immagina il punto zero. Prima non c'è nulla, siamo nel C'era una Volta. E' l'inizio della creazione, prima non esiste la musica. La musica diventa l'essenza di un'unica nota, lunghissima che ci avvolge sempre di più con la sua potenza. Ecco poi gli armonici, note le cui vibrazioni sono contenute nella nota originale. In una spirale ipnotica gli accordi ci travolgono come le onde concentriche dopo un sasso gettato nel mare. Poi la forza dell'acqua ci sorprende e ci alza chilometri da terra. L'onda altissima, sempre di più, sempre di più ci annega la mente con il mistero della vita. Prima non esistevamo, ora ci siamo. 
Provate a mollare tutto per una volta. Fatelo quando non avete in casa nessuno. Niente genitori, amici, fidanzata, figli o fratelli. Cercatevi un attimo di solitudine. Stesi su un letto, per terra, con gli occhi chiusi. Controllate il vostro respiro e provate a tornare indietro. Solo la musica può portarci all'origine di noi stessi. Dentro la pancia di una madre, immersi nell'acqua, prima di essere, prima di ogni istante ricordato. 



venerdì 29 novembre 2013

Vivere per sempre

Sto per finire di ascoltare la tetralogia di Wagner, un'opera divisa in quattro opere. Quindici ore di musica lirica. 
Mi è venuta voglia di riassumere un po' le cose. Tutte le cose più strane che ho fatto da quando ho aperto questo blog. Capire se le ho fatte per riempire il blog o perché lo volevo davvero. 
1) Ho letto tutta la Bibbia (3000 pagine più o meno) : quattro mesi di lettura.
2) Ho riletto tutta la Divina Commedia (3000 pagine fra testo e commenti): sei mesi di lettura fra pause e riprese.
3) Ho letto l'Orlando Furioso (1500 pagine): tre mesi di lettura. 
4) Ho ascoltato tutta la Tetralogia di Wagner: 15 ore di ascolto. 

Non ho una laurea in Lettere, in Musicologia, in Teologia, in Cinematografia. Ho una laurea in Economia che non c'entra niente con tutto quello che ho citato. Sono stato anche accusato di menarmela un po', che certe cose dovrei scriverle sul mio diario e chiuderlo in un cassetto. Che non dovrei rivelare al mondo le mie considerazioni banali. 

Tutto può essere. La verità è che mi piace perdermi come un bambino in queste cattedrali di pensiero umano. Monumenti all'IO, al desiderio dell'uomo di solcare ogni tempo e ogni spazio. Ci sono artisti che ci portano a scoprire la bellezza del mondo tenendoci per mano. Ci accompagnano passo passo e la sensazione è bellissima. Ma poi ci sono i Profeti: artisti che non parlano a noi adesso, ma ad ogni uomo in ogni tempo. Non ti accompagnano per mano, ti danno una mappa, ti indicano una strada, poi se tu che devi viaggiare, devi inerpicarti per sentieri stretti, affannare dalla fatica, immergerti senza respirare negli abissi bui del pensiero umano. E quando arrivi alla fine capisci che la bellezza non sta nel finale, non è lì la bellezza, ma nel viaggio che hai fatto. In quella fatica, in tutto quel tempo che ha riempito le tue giornate. Nello scambio che hai avuto con qualcuno che non vive ma che esiste ed esisterà sempre. 
Oggi nessuno cerca di parlare con una idea di eternità, nessuno ha quel coraggio e quella presunzione. 

sabato 23 novembre 2013

Wagner

Non sono mai riuscito ad ascoltarlo davvero. I motivi sono i più diversi: è uno degli autori più complessi da seguire, ma forse il motivo principale è dato dal suo terribile contributo alla storia del Nazismo. E' difficile scindere la vita dall'arte, ma alle volte è necessario. Soprattutto quando si parla di un autore che ha condizionato completamente la storia della musica, del teatro e, a mio modestissimo parere, anche del cinema. 
Se Wagner nascesse oggi certo non scriverebbe opere. L'opera si disintegra nel momento stesso in cui la tecnologia inventa il microfono. Senza un sistema di amplificazione artificiale l'uomo applica l'amplificazione naturale: il diaframma. Perchè i cantanti cantano in quel modo strano nell'opera? in un teatro enorme e con un orchestra così imponente l'unico modo è usare il diaframma. 
Così se Verdi nascesse oggi, probabilmente scriverebbe grandi musical, ma se Wagner nascesse oggi forse si dedicherebbe al cinema, scrivendo sceneggiature e curando le colonne sonore. 
Wagner rivoluziona completamente la storia del teatro, l'opera per lui è tutto. Letteratura, scrittura, musica, teatro, arte visiva. 
Mi sono buttato nell'ascolto dell'anello del Nibelungo, Wagner è il padre anche del fantasy, e se solo si avesse la pazienza di mettersi ad ascoltarlo, si potrebbero trovare Tolkien, la Rowling, Terry Broks, Cristopher Paolini, tutti intenti a rubare qualcosa a quest'opera immensa. 
Ma quello che colpisce di più ovviamente è la musica, fino a Wagner la musica sapeva descrivere solo le emozioni dei personaggi: la gelosia, la passione, l'invidia, la disperazione, la perdita. 
Nell'anello del Nibelungo Wagner va oltre: non solo l'emozione, ma anche e soprattutto l'azione. I personaggi sono figure che agiscono, e assicurando una posizione dominante all'orchestra a scapito delle voci, l'autore descrive ogni cosa: la discesa di un Dio dal cielo alle caverne dei Nibelunghi, il rumore di una spada saldata da un nano su un incudine, un drago che si eleva per sbranare chi tenta di rubargli un tesoro, il movimento di un abbraccio, il rumore di una tempesta, l'arrivo del marito che sorprende un forestiero in compagnia della moglie, la pioggia battente, una lancia che uccide, una spada che si frantuma.

domenica 17 novembre 2013

La strada verso casa. Fabio Volo


Giorni fa ho ascoltato in radio una descrizione molto bella sulla differenza fra classicità e modernità. Il critico diceva che la differenza fra un classico della letteratura e un romanzo moderno è la stessa differenza che intercorre fra una facciata di una cattedrale e la piramide all'ingresso del Louvre. Se guardi da lontano una cattedrale ti sembra ricca, e se ti avvicini ti sembra ancora più ricca. Nessuna parte è trascurata, ogni dettaglio è vissuto come un avvenimento. Se ti avvicini a un'opera moderna scopri che lì non c'è nulla, trovi un pezzo di vetro, di plastica o di plexigas. Il dettaglio non è più importante. 
Non potevo non leggere l'ultimo romanzo di questo personaggio che ormai seguo da tanti anni, soprattutto dopo aver avuto un mese fa la fortuna di chiacchierare con lui in radio. Di fronte a un successo così vasto non ci si può chiudere dietro a pure ragioni commerciali. Perché a così tanta gente piace Fabio Volo? Perché tutti i suoi libri sono facili, e per chiunque riuscire a finire un libro va a beneficio del proprio ego culturale? Come Aldo Grasso un anno fa ha avuto il coraggio di scrivere in un suo articolo? Perché trincerarsi dietro la presunta ignoranza della gente, quando molti altri personaggi hanno tentato fatiche letterarie senza nessun successo? 
Da "Il Giorno in più" in poi, "La Strada verso Casa" è in assoluto il miglior romanzo di Fabio Volo. 
Volo affronta senza nessuna paura il tema della quotidianità, del dettaglio, del particolare che nessuno pseudo intellettuale ha il coraggio di affrontare. La ritualità dei gesti in una cucina, in un ristorante a cena con un amico, su una panchina, persino in bagno. E' la quotidianità il percorso che i suoi personaggi affrontano per uscire dal labirinto sentimentale nel quale si sono smarriti. Le loro convinzioni vengono smentite dagli eventi che la vita mette in continuazione loro davanti. Aggrappati ai gesti: come fumare una sigaretta, aprire una bottiglia di vino, guardare serie televisive sul computer fino a frantumarsi il cervello; i personaggi si liberano dei fili che si sono costruiti per tutta una vita. Marionette inconsapevoli trovano la strada per abbandonare il teatro e tornare alla dimora che li attende. E' questo il motivo del suo successo. Almeno secondo me. 

giovedì 14 novembre 2013

La più bella descrizione di una donna nella storia della letteratura.

E per concludere l'excursus sull'Ariosto ho deciso di pubblicare una delle più belle descrizioni di bellezza femminile nella storia della letteratura. Alle volte i poeti sanno essere più pittori dei pittori stessi come ricorda Lodovico Dolce nel "Diario della Pittura": 
<< Ma se vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze dell'Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente le bellezze della fata Alcina; e vedranno parimente quanto i buoni poeti siano ancora essi pittori>>. 

Di persona era tanto ben formata,
     quanto me’ finger san pittori industri;
     con bionda chioma lunga ed annodata:
     oro non è che più risplenda e lustri.
     Spargeasi per la guancia delicata
     misto color di rose e di ligustri;
     di terso avorio era la fronte lieta,
     che lo spazio finia con giusta meta.

12 Sotto duo negri e sottilissimi archi
     son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,
     pietosi a riguardare, a mover parchi;
     intorno cui par ch’Amor scherzi e voli,
     e ch’indi tutta la faretra scarchi
     e che visibilmente i cori involi:
     quindi il naso per mezzo il viso scende,
     che non truova l’invidia ove l’emende.

13 Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
     la bocca sparsa di natio cinabro;
     quivi due filze son di perle elette,
     che chiude ed apre un bello e dolce labro:
     quindi escon le cortesi parolette
     da render molle ogni cor rozzo e scabro;
     quivi si forma quel suave riso,
     ch’apre a sua posta in terra il paradiso.

14 Bianca nieve è il bel collo, e ’l petto latte;
     il collo è tondo, il petto colmo e largo:
     due pome acerbe, e pur d’avorio fatte,
     vengono e van come onda al primo margo,
     quando piacevole aura il mar combatte.
     Non potria l’altre parti veder Argo:
     ben si può giudicar che corrisponde
     a quel ch’appar di fuor quel che s’asconde.

15 Mostran le braccia sua misura giusta;
     e la candida man spesso si vede
     lunghetta alquanto e di larghezza angusta,
     dove né nodo appar, né vena eccede.
     Si vede al fin de la persona augusta
     il breve, asciutto e ritondetto piede.
     Gli angelici sembianti nati in cielo
     non si ponno celar sotto alcun velo.

16 Avea in ogni sua parte un laccio teso,
     o parli o rida o canti o passo muova:
     né maraviglia è se Ruggier n’è preso,
     poi che tanto benigna se la truova.
     Quel che di lei già avea dal mirto inteso,
     com’è perfida e ria, poco gli giova;
     ch’inganno o tradimento non gli è aviso
     che possa star con sì soave riso.

17 Anzi pur creder vuol che da costei
     fosse converso Astolfo in su l’arena
     per li suoi portamenti ingrati e rei,
     e sia degno di questa e di più pena:
     e tutto quel ch’udito avea di lei,
     stima esser falso; e che vendetta mena,
     e mena astio ed invidia quel dolente
     a lei biasmare, e che del tutto mente.

18 La bella donna che cotanto amava,
     novellamente gli è dal cor partita;
     che per incanto Alcina gli lo lava
     d’ogni antica amorosa sua ferita;
     e di sé sola e del suo amor lo grava,
     e in quello essa riman sola sculpita:
     sì che scusar il buon Ruggier si deve,
     se si mostrò quivi incostante e lieve.

mercoledì 13 novembre 2013

Ludovico Ariosto e l'equilibrio del dolore


Da qualche settimana ho terminato la lettura dell'Ariosto. L'Orlando Furioso è davvero un caleidoscopio di personaggi e situazioni. Una giostra infinita dalla quale fino alla fine ti sembra impossibile scendere. Nonostante il suo pessimismo sulla capacità dell'uomo di rispettare i valori a causa della trascinante forza delle passioni: l'amore, l'avidità e l'invidia; l'Ariosto mantiene intatta una "politica di equilibrio" in tutta la sua opera. La sofferenza, il dolore, la rabbia, tutto è visto secondo l'ottica dell'equilibrio: le lacrime scendono sempre con la lente della ironia, della impossibilità di fare altrimenti. Non c'è scomposizione ma riequilibrio di tutte le forze in gioco. Molto semplicemente si può dire che tutto il positivismo dell'Ariosto si esprima nel suo stile. Nonostante questo bellissimo verso:
" Quel che l'uomo vede Amor gli fa invisibile e l'invisibil fa veder Amore "

giovedì 7 novembre 2013

Perché i preti non possono sposarsi

Nelle mie tante follie quest'anno ho ripreso in mano i vecchi libri di storia del liceo. 
Era un mio cruccio, qualcosa che mi portavo appresso da tempo: un buco nozionistico storico impressionante. Rispetto alla letteratura e alla filosofia, la storia è una materia che non ha mai saputo depositarsi a fondo nella mia memoria. 
Rileggendo le vicissitudini delle lotte fra potere imperiale e potere ecclesiastico, la famosa lotta delle investiture intorno all'anno mille, eccetera, eccetera; mi sono imbattuto sulla vera ragione per la quale i preti non possono sposarsi. 
Tempo fa discutevo con mia zia sul motivo per il quale il Papa non permette ancora ai preti di sposarsi. 
Io non mi posso definire cattolico, nè tanto meno completamente credente. Tuttavia non ho mai capito perchè i non cattolici debbano giudicare sempre i Cattolici. 
Comunque a parte queste cose, ho scoperto che più o meno, fino all'anno Mille preti e vescovi potevano sposarsi. Solo coloro che vivevano nei monasteri, quelli che abbracciavano la vita spiritale, facevano voto di castità. Il risultato? 
Questo un estratto di un libro di storia di seconda liceo: 
"I vescovi scelti dagli Ottoni (imperatori del tempo) non venivano scelti per le qualità religiose ma piuttosto per le capacità militari e una solida fedeltà all'imperatore. I vescovi erano spesso uomini ai quali piaceva vivere da gran signori. All'epoca tutto si poteva ottenere pagando: assoluzioni, sacramenti, cariche ecclesiastiche"
E ancora: 
"In generale i monaci, che vivevano in castità, si sentivano profondamente superiori ai preti che si sposavano tranquillamente e spesso conducevano una vita non molto diversa dai laici" 
"L'eliminazione della simonia doveva spingere il clero a una vita il più possibile pura, come quella dei monaci". 
La verità secondo me è una sola: non si può essere credibili nell'amore verso il prossimo, nell'azione verso il prossimo, se prima non si attua una rinuncia. E' la rinuncia il vero atto di fede, è solo così che si dimostra l'amore per gli altri, e si è pronti per gli altri. 
In fondo credo che la politica non dovrebbe essere diversa. I politici prima di entrare in politica dovrebbero fare subito una rinuncia: un imprenditore non dovrebbe mai essere un politico: nè prima nè dopo. Come faccio a pensare che sei pronto al bene comune se la tua coscienza è intaccata da un interesse privato? 

martedì 5 novembre 2013

L'uomo e Dio: la più bella scena nella storia del cinema. Il Settimo Sigillo

Ho scoperto questo film davvero per caso. 
Ho seguito il ciclo di puntate sulla storia del cinema andato in onda su Sky negli ultimi mesi. The Story of Cinema: an Odissey.
Ad un certo punto il documentario presenta una scena del Settimo Sigillo. Un cavaliere al ritorno dalle Crociate, accovacciato contro una grata di una finestra. Nel tentativo di nascondersi dal sole, ma nello stesso tempo di osservarlo senza essere visto dalla luce, parla di Dio con un frate al di là di una cella. Dio e l'uomo. Sentire la sua presenza e non poterlo vedere. Non accettare di essere il risultato di un folle avvicendarsi di casualità: arrivare dal nulla per tornare nel nulla. Perchè allora il suo respiro brucia sempre sulla pelle quando uno tenta di disfarsi di lui? Non c'è risposta. Il tormento di Dio trattato nella sua forma più alto. Un film sulla religione e sull'uomo. Sull'esistenza e sul senso di stare qui. Bergman non credeva in Dio? Perchè darsi tanta briga allora per manifestare la forza dell'anima che sta dentro l'uomo? 
Bergman è l'altra faccia di Malick. 
Non so per quale motivo ma quando l'uomo si interroga su Dio, quando l'artista passa dall'amore romantico all'amore spirituale, anche avverso, anche sofferto, dà sempre il meglio di sè.

http://www.youtube.com/watch?v=QIjfLs3B-l4

Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei irriconoscibili simili. Vi scorgo immagini di incubo nate dai miei sogni e dalle mie fantasie.

sabato 2 novembre 2013

Sole a Catinelle.


Non ho potuto fare a meno di correre a vederlo. Era un po' che non assistevo ad una scena del genere: di fronte alle casse del cinema, un'orda di gente che si accapigliava per assicurarsi un biglietto per il film di Checco Zalone. Le vedi subito le persone che al cinema non ci vanno mai. Sono le famiglie numerose, quelle per le quali portare tutti al cinema rappresenta sempre un bel sacrificio. Eppure, non si può fare a meno di lasciarsi andare almeno una sera alla dolce ingenuità di una vita che può essere migliore, se osservata dietro la lente del sano ottimismo. Ottimismo non significa chiudere gli occhi ai problemi, ma cambiare prospettiva, modificare i nostri modelli interpretativi della realtà.
Da diversi anni ormai, questo personaggio così scanzonato, ma dall'intelligenza fine e spregiudicata, sa parlare alla pancia vera del paese. Senza mai sottovalutarlo, il personaggio di Checco, ha a cuore il suo pubblico, costruendo gag a volte immediate, a volte più sofisticate, a volte semplici, ma mai banali. I Romani dicevano "Satura tota nostra est". La risata liberatoria, in barba ai problemi, alla faccia di chi ci vuol male. E' quello di cui la gente ha ancora bisogno, ed è quello che in questo film risuona dall'inizio alla fine. E lo dico anche senza nessuna vergogna: mi sono commosso nell'osservare un viaggio di un padre e di un figlio che hanno il diritto di vivere una vita felice. 

lunedì 21 ottobre 2013

The Ghost, il musical e Loretta Grace.

Bè i musical sono un po' le opere di oggi. 
La gente sognerà sempre vedendo le persone parlarsi cantando. In realtà, sappiamo bene che ogni giorno, senza volerlo, cantiamo. Le note sono nel mondo: il mio maestro di violino riusciva a sentire un la nel cigolìo di un seggiolino girevole. 
La musica è dare ordine ai suoni che ci sono nel mondo. E' per quello che piace così tanto. Soprattutto quando è la voce a mettere ordine nel cosmo. Un po' come la piuma volante di Forrest Gump. 
Allora eccole due persone che litigano cantando, che si amano cantando, che si odiano cantando, che pregano cantando. 
La storia e la musica, recitare e cantare, fusi in una sola cosa. 
Qualche giorno fa ho visto questo musical: The Ghost. Citato in un mio post: i baci più belli nella storia del cinema. Davvero molto bello, un musical che era un po' che non mi capitava di vedere. Fra tutte spicca l'attrice che impersona la parte della Goldberg. La sensitiva che permette ai due innamorati divisi dalla vita e dalla morte di amarsi ancora una volta, cantandosi la vita. Ci sono persone che vivono di una energia diversa dagli altri. Questa per me è stata questa attrice cantante: Loretta Grace. Ne nascono poche, intorno a noi li vedi raramente. Sono quelli che ti emozionano subito, appena li vedi apparire sul palco, dopo le prime parole, dopo le prime note. Altro che X Factor. Ho letto la sua storia artistica e mi sono commosso. Lei sapeva di essere speciale e non ha mai mollato. Se hai una luce così dentro nessuno può chiudere gli occhi. Come diceva Dostoevskj? Diventate un sole e tutti vi vedranno? Bè un sole quest'artista lo è davvero. 

venerdì 18 ottobre 2013

Sirmione e la mia ultima poesia

"Benedetto Croce diceva che fino all'età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. E quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore". Questo diceva De Andrè. Questa frase mi è sempre ritornata in mente negli ultimi anni, e, in effetti, anche per me è successa la medesima cosa. Dopo i diciotto anni ho praticamente smesso di scrivere poesie, proprio perchè, in un certo senso, mi sentivo un po' cretino. Non so spiegare per quale motivo, ma è accaduto proprio così. 
Eppure, quasi due anni fa ormai, sono tornato in uno dei più bei paesi al mondo. Di tutti i paesi che si affacciano sul lago, Sirmione rimane per me in assoluto quello più affascinante. C'erano tanti cartelli appesi in giro quel giorno: un ennesimo concorso di scrittura, per partecipare stavolta c'era da scrivere una bella poesia su Sirmione. Non so per quale motivo ho deciso di scrivere questa poesia, dopo così tanti anni che non mi cimentavo con questa emozionante forma d'arte. Incredibile a dirsi ma le emozioni sono rimaste le stesse. Ho pensato a tutte le coppiette che vedevo ogni volta che mettevo piede al lago, perchè l'acqua intensifica così tanto le nostre emozioni? Soprattutto l'amore? Bè questo è un po' il tema. Ah ... ovviamente non ho vinto.


Qui siamo ciò che vorremmo,
siamo arrivati nell’ora e un quando
ora non c’è …
hai superato un ponte, un arco,

con le tue mani nelle mie
ho creduto nostro un castello,
ti ho creduto regina,

ho vissuto le vite di un cigno,

tu mi hai svegliato al presente
volando  abbracciati
questa pianura d’acqua
che  stordisce  e placa

restituiti ai sogni
ascoltiamo le cose come esseri primi,
prima dei giorni scanditi
c’è il giorno che suona

ora nell’aria
per sempre
il ricordo di noi

venerdì 11 ottobre 2013

Tutte le assurdità che ho fatto per pubblicare il mio libro. "Il cacciatore di canzoni". Senza combinare una mazza.


Con l'ultima cavolata di oggi, riassumo per un attimo tutte le cose che ho fatto per far notare, il mio libro, "il cacciatore di canzoni". Direi che potrebbero bastare: 

1) Dopo averlo finito lo do alle stampe: 50 copie con copertina in A4. Discreta spesina, e le regalo tutte, una per una a parenti, amici, conoscenti. 
2) Entro in Mondadori a Segrate (che ridere!) arrivo all'ufficio poste.
3) Entro in Giunti ad Assago: alla reception mi dicono che la sede operativa è a Roma, ci penserà lei a spedirla. 
4) Entro in Rizzoli, arrivo anche qui all'ufficio poste.
5) Vado a Radio Deejay e lo porto a Linus con un panettone prima di Natale. Novembre praticamente. Il portiere simpatico che ogni tanto si sente in Radio, mi fa i complimenti per la copertina, "Che bel disegno!", mi assicura che penserà a tutto lui. Nessuna risposta, nemmeno i ringraziamenti per il panettone in trasmissione. Ma vabè con tutta la roba che arriva. 
6) Parto con un mio amico per Torino per portarlo alla Littizetto, alla tramsissione la bomba. Su Internet pare che trasmettano da Radio Veronica One. Arriviamo dopo due ore di viaggio io e un mio amico, con una teglia intera di pizza. Ci apre un panzone con un maglione arancione. "Qui non c'è la Littizzetto, andate via". Ci rimpinziamo di pizza e il giorno dopo ho 39 di febbre.
7) Vado agli studi di Milano di Che tempo che fa. Imploro la guardia di lasciare il mio libro a Fabio Fazio, la guardia si impietosisce dice che non si potrebbe però alla fine lo prende e lo porta negli studi. Lo vedo sfilare via fiducioso. Nessuna risposta. Ma si sapeva.
8) Partecipo al programma Masterpiece e incredibilmente vengo selezionato per il provino. Tre giorni a Roma, ma il provino va malissimo. 
9) Entro nella casa editrice Marcos y Marcos: un ragazzo vestito in modo molto intellettuale prende il libro e dice che ci penserà lui. 
10) Dopo aver capito che non entrerò mai nel programma Masterpiece mando un messaggio a Fabio Volo raccontandogli un po' la mia esperienza. Incredibile ma mi chiama, mi dice che mi ospita nel suo programma per leggere una pagina del mio libro. Io ci credo e
11) Mi alzo alle cinque e mi butto nel traffico di Milano, porto il libro un'altra teglia di pizza e due sacchetti di biscotti da pasticceria. Lo vedo sfilare sul marciapiede, è al telefonato e non ho il coraggio di fermarlo. Non voglio disturbarlo. Aspetto ancora una mezz'oretta in macchina prima che cominci la trasmissione. Arrivo in portineria e non c'è lo stesso portiere dell'altra volta. Gli dico che sono stato  invitato alla trasmissione di Fabio Volo per portare il mio libro. "Sì certo come no, dammi qua  che ci pensiamo noi a portarglielo". Niente da fare non mi fa passare, riesco a lasciare solo il libro con qualche biscottino. Passo tutta la giornata di lavoro con una teglia gigante di pizza in macchina, senza avere il coraggio né di mangiarla né di buttarla. Mi si impregnano tutti i vestiti dell'odore di pizza. Bene è il caso che mi faccia una doccia. 
Forse è meglio darsi all'ippica.

lunedì 7 ottobre 2013

Gravity: fisica e metafisica

La fantascienza è uno dei generi che in maggior misura portano l’uomo ad interrogarsi su se stesso.  C’è ben poco da fare. Il fascino di questo genere è rimasto immutato nella storia del cinema: quale domanda più alta esiste di questa: perché questo esperimento nel nulla? Perché un mondo così perfetto per manifestare vita? Gravity mostra tutta la condizione umana. Fuori dal mondo non esiste niente. Il vuoto. Fuori dal mondo non esiste spazio, è solo la terra la nostra casa e non ne avremo altre. Mentre la protagonista, imprigionata nel vuoto cosmico, tenta disperatamente di  tornare a casa, si avverte che quel vuoto non è solo fisico, ma metafisico. Cuaron lo sottolinea sempre: una musica minimalista incolla lo spettatore ad accorgersi di quanto fantastico e desiderabile è il sogno della terra. Quanto è assurda la nostra incapacità di rispettarla. Respirare l’aria: il più grande miracolo. Essere vita ha senso solo perché fuori dalla terra non è pensabile vita. Ed è sempre quando guarda quella immagine: la terra vista dalla spazio, quella combinazione incomprensibile che ha portato tutta questa bellezza, è allora che mi chiedo sempre: come si fa a non credere in Dio alle volte? 

sabato 5 ottobre 2013

Il cacciatori di canzoni, Masterpiece, e una chiacchierata con Fabio Volo.


È passato esattamente un anno da quando ho finito di scrivere il mio romanzo. E non ho mai voluto scrivere il titolo. Oggi lo faccio anche perché ieri mi è successa una cosa incredibile. Il mio libro si chiama "Il cacciatore di canzoni". 

Anche se non sono riuscito a pubblicare questo libro, è davvero strano quante cose assurde ti posso capitare. In un post precedente ho scritto di aver vissuto un’esperienza poco piacevole, ma in realtà è stata un’avventura, come tante nella vita. Mesi fa è apparso un annuncio sulle reti rai: era possibile inviare un manoscritto per essere selezionati ad una trasmissione: Masterpiece, un vero e proprio talent per scrittori. Per scherzo mando il manoscritto. E dopo un paio di mesi mi chiamano per davvero. A Roma per un provino. Ovviamente in meno di un secondo mi monto la testa. Già mi vedo sugli scaffali delle librerie pronto a trionfare, senza riuscire più a districarmi tra vero e falso.  Quando mi presento al provino, il castello di carta crolla senza pietà. Credo che momenti così uno li aspetti tutta la vita, quei momenti in cui devi tirare fuori tutto te stesso. “Presentati Giovanni”, “Raccontami del tuo carattere”, “hai un lato oscuro?”, “Se dovessi vendermi il tuo libro in trenta secondi?”. Non riesco a spiccicare parola, tutti i miei anni da attore di teatro, i miei cortometraggi, la mia esperienza come venditore. Mi sento un cazzone. Perso, smarrito e senza parole. Ovviamente ho saputo definitivamente di non essere passato. Poi mando un messaggio alla mia trasmissione radio preferita “ Il Volo del Mattino”, come mille altre volte,. Non ci posso credere ma mi chiamano, e parlo in diretta con Fabio Volo a proposito di questa carambolesca avventura. Bè non andrò in televisione, non pubblicherò il libro, ma è bello quando ti succedono queste cose inaspettate. Grazie Fabio, mi sono davvero divertito! Da quanto ho finito queste pagine la mia voglia di raccontare mi ha portato ad essere una specie di calamita impazzita. E forse parlare con lui è stata per me la più bella sorpresa.

giovedì 3 ottobre 2013

A cosa servono i poeti. Wislawa Szymborska

Quando facevo teatro, tantissimi anni fa, il mio maestro di teatro mi disse una cosa che non ho mai scordato e che non scorderò mai.
“Se solo le persone riuscissero ad accorgersi del ruolo così importante che i poeti hanno nella nostra società. Persino dal punto di vista economico, persino da quel lato il loro contributo è vitale”.
Per anni mi sono spaccato la testa su questa frase, dal punto di vista persino economico … ma cosa c’entrano i poeti con l’economia? Perché poi sarebbero così importanti questi poeti?
Ho dedicato tanta parte della mia vita alla poesia, a leggerla, scriverla, cercare di vederla da tutte le parti. Poi ho letto questa poesia, ed è come avessi letto di nuovo quell’affermazione di Roberto, il mio maestro di teatro scomparso ormai da tanti anni. A cosa servono i poeti?
In questa poesia la Szymborska, grandissima poeta polacca premio Nobel, immagina il poeta che va a bussare alle porte di una pietra. È un dialogo fra lei e la pietra. È così immediato e chiaro il senso adesso quando la leggi. È proprio quello il ruolo del poeta: bussare alle porte della realtà anche se nessuno ti ascolta, anche se sai che è impossibile aprire le porte della verità. Contribuire a leggere il disagio del mondo, raccogliere tutte le domande, lo sconforto, e credere sempre. Nonostante tutto. Anche senza un Dio, senza un idolo, senza un re. Il poeta ti ascolta, va là dove nessuno osa andare come un Robin Hood disperato per rubare la verità ai ricchi e darla ai poveri. Una verità che non trova mai in fondo, ma che ti aiuta a sopportare il peso. Il poeta è la prima persona al mondo che sa credere nell’uomo. Lui solo ti sa salvare: è nella tua anima che sa vedere il bene al di là di ogni senso.

Busso alla porta della pietra
- Sono io, fammi entrare.
Voglio venirti dentro,
dare un’occhiata,
respirarti come l’aria.
- Vattene – dice la pietra.
Sono ermeticamente chiusa.
Anche fatte a pezzi
saremo chiuse ermeticamente.
Anche ridotte in polvere
non faremo entrare nessuno.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Vengo per pura curiosità.
La vita è la sua unica occasione.
Vorrei girare per il tuo palazzo,
e visitare poi anche la foglia e la goccia d’acqua.
Ho poco tempo per farlo.
La mia mortalità dovrebbe commuoverti.
- Sono di pietra – dice la pietra
- E devo restare seria per forza.
Vattene via.
Non ho i muscoli per ridere.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Dicono che in te ci sono grandi sale vuote,
mai viste, belle invano,
sorde, senza l’eco di alcun passo.
Ammetti che tu stessa ne sai poco.
- Sale grandi e vuote – dice la pietra
ma in esse non c’è spazio.
Belle, può darsi, ma al di là del gusto
dei tuoi poveri sensi.
Puoi conoscermi, però mai fino in fondo.
Con tutta la superficie mi rivolgo a te,
ma tutto il mio interno è girato altrove.
Busso alla porta della pietra
- Sono io, fammi entrare.
Non cerco in te un rifugio per l’eternità.
Non sono infelice.
Non sono senza casa.
Il mio mondo è degno di ritorno.
Entrerò e uscirò a mani vuote.
E come prova d’esserci davvero stata
porterò solo parole,
a cui nessuno presterà fede.
- Non entrerai – dice la pietra.-
Ti manca il senso del partecipare.
Nessun senso ti sostituirà quello del partecipare.
Anche una vista affilata fino all’onniveggenza
a nulla ti servirà senza il senso del partecipare.
Non entrerai, non hai che un senso di quel senso,
appena un germe, solo una parvenza.
Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
Non posso attendere duemila secoli
per entrare sotto il tuo tetto.
- Se non mi credi – dice la pietra-
rivolgiti alla foglia, dirà la stessa cosa.
Chiedi a una goccia d’acqua, dirà come la foglia.
Chiedi infine a un capello della tua testa.
Scoppio dal ridere, d’una immensa risata
che non so far scoppiare.

Busso alla porta della pietra.
- Sono io, fammi entrare.
- Non ho porta – dice la pietra.

giovedì 26 settembre 2013

Quentin Tarantino e Ludovico Ariosto

Sono mesi ormai che tento di finire l'Orlando Furioso, è una lettura impegnativa ma la mia speranza è che rispetto ad altre letture qualcosa si infili il più possibile nella mia memoria. La speranza, insomma, è di ritenere un po' di più quello che leggo. Che bello quello che diceva Dante: che non è scienza, senza lo ritenere, l'avere compreso. Ebbene due giorni fa ho rivisto Django di Tarantino, e mi sono accorto che questa violenza, così vituperata nei film di questo regista, non è poi così lontana dai poemi cavallereschi.
Basta leggere le gesta di Orlando, Ruggiero, Mandricardo, Rodomonte, Astolfo, Marfisa. Quando leggi l'Ariosto leggi duelli degni dei più violenti film di Tarantino, teste che volano, sangue che inonda i prati, braccia che saltano, spade che penetrano cuori.
In realtà la violenza e la guerra sono dentro l'uomo. E' lì. Non possiamo farci niente. Ci spaventa e ci affascina. Ci terrorizza, ma non riusciamo a staccare l'occhio. L'arte non può fare altro che esorcizzarla, sublimarla insomma. E allora c'è poi una così grande differenza tra questo Django che uccide senza pietà per liberare sua moglie dal folle proprietario delle piantagioni di cotone e Orlando che libera donzelle rapite dai ladroni ? Da cavalieri che aiutano donne imprigionate su uno scoglio in attesa di essere sbranate da un'orca assassina?

lunedì 23 settembre 2013

La mania dei muscoli. Magic Mike



Più di tre anni fa mi sono iscritto in palestra. Fra pause e riprese sono passati tre anni e, diciamolo pure, non sono cambiato di una mazza. Come se non bastasse, sono tre mesi che non riesco a riprendere per colpa di un dolore al braccio destro che proprio non passa. Eppure un po' di rabbia mi viene, quando vedo questi fottutissimi corpi così muscolosi. Ma come fanno quelli della pubblicità? Loro non devono andare al lavoro, litigare con i clienti, fare la spesa, compilare fogli excel al computer, far funzionare macchine complicate in una catena di montaggio? Vanno in palestra otto ore al giorno? Credo il problema stia tutto nell'età. E' inutile illudersi, a trent'anni è troppo tardi! Quindi me li devo dimenticare: addominali, bicipiti, tripiciti, pettorali non arriveranno mai. Però quanto sono fighi questi tizi di Magic Mike, e diciamolo una volta tanto che tutti vorremmo essere così: piacere per il solo fatto di essere.

A parte tutte queste fesserie che ho scritto fino ad ora, Magic Mike è un bellissimo film. Soderbergh è una certezza. Mi fa impazzire l’uso della fotografia, i suoi colori, così delicati carichi di intimità. Non riesco a capire come fa, ma mi è sembrata di rivedere i personaggi di Traffic e di Erin Brocovich: c’è una vulnerabilità dietro la forza di Mike che lo rende così umano da desiderare di essere come lui dal primo all’ultimo fotogramma.

venerdì 20 settembre 2013

U Parrinu - Christian Di Domenico


La scorsa settimana è stata un po' difficile, e soprattutto caratterizzata da una bella delusione. Ne parlerò tra qualche post. Per ogni delusione, quasi sempre, c'è una bella sorpresa. Ho trovato nel mio paese, per caso, un manifesto che pubblicizzava uno spettacolo teatrale. Avevo capito subito che si trattava di un monologo teatrale, e io adoro i monologhi. Affinché una sola persona sia in grado di intrattenere un pubblico per un'ora e mezza, ci vogliono enormi capacità. L'uso della voce, delle luci, dei colpi di scena. Battute, cambi d'abito, musica. Ma soprattutto c'è bisogno di una voce che sia capace di trascinarti per luoghi e avvenimenti che ti facciano dimenticare che sei seduto su una sedia in mezzo ad altra gente. 
Christian di Domenico ne è capace eccome. Lui parla e tu vedi la Sicilia, quella bella e quella brutta. Quella fatta di scogli e natura che ti schiaffeggia con tutta la sua bellezza. Poi c'è la Sicilia di cui tutti sappiamo, ma di cui spesso non ci importa nulla. Sommersi dai nostri luoghi comuni non ci importa di conoscere tutte quelle storie di gente che è capace di combattere, e parlare fuori dal coro. 
Era tanto tempo che non vedevo un teatro così. Un teatro senza parrucche, e vestiti ingombranti. Senza canzoni e balletti. Un teatro che non vive solo di dizione perfetta e diaframma bene impostato. Più da un palco togli più hai bisogno di idee. Le idee arrivano quando non hai niente e devi colmare un vuoto. Christina Di Domenico racconta la sua storia personale colmando tutti questi vuoti, con una prova straordinaria. 

domenica 15 settembre 2013

I 5 baci più belli nella storia del cinema

Continuo con il giochino dei miei film preferiti. Questa volta voglio prendere in considerazione l'idea stessa del bacio. Il modo in cui viene presentato, come si presenta, e l'importanza che assume per ciascun regista. 

La quinto posto metto sempre Gabriele Muccino, per il film che me l'ha fatto scoprire. In "Come te nessuno mai" il protagonista si confida alla fine con il fratello: la sua migliore amica si è innamorata di lui, e in quel senso proprio non l'aveva mai considerata. Come si fa a capire se una tua amica può diventare qualcosa d'altro? Il consiglio del fratello è bellissimo: baciala, se ti piace significa che potete iniziare a stare insieme se no lascia perdere. Ebbene allora lui corre a perdifiato con l'obbiettivo e va da lei per baciarla. Il tutto riassunto in questi due link, 

http://www.youtube.com/watch?v=CSlW8Ola7C0
http://www.youtube.com/watch?v=HlNCU1StVhU

Al quarto posto scelgo questo film che ha pochi anni, ma che si è subito rivelato un capolavoro. E' uno dei baci in ascensore che più mi hanno colpito. Il protagonista, chiuso in se stesso, ex delinquente, privo di qualsiasi espressione d'affetto, improvvisamente bacia la donna che accompagna solo per proteggerla dal cattivo, chiuso in ascensore con loro. E dopo il bacio lo ammazza di botte. Letteralmente. Sto parlando di Drive ovviamente. 


Al terzo posto per me c'è questo piccolo film. UNa delle prime apparizioni del compianto heath ledger. 10 cose che odio di te. Alla fine del film la protagonista, delusa dal suo amore, legge una poesia strappalacrime perchè si è sentita usata da lui, solo per vincere una scommessa. Alla fine lui saprà come rinconquistarla. 


Al secondo posto metto "Notthing hill". Il primo bacio che lui non si aspetta dalla grande star del cinema, perchè lui è un signor nessuno. Delicato e intenso. Una sceneggiatura perfetta. "Surreale ma bello".


Al primo posto non potevo che scegliere questo film. Ho sempre cercato di scegliere qualcosa di non banale, un po' ricercato, ma come si fa a non scegliere questo film? Troppo perfetta la scena finale di Ghost, ti strappa tutta la pelle di dosso, e quella musica, lei che bacia un fantasma che intravede appena. C'è qualcosa di più delicato di un bacio che non puoi quasi sentire? Qualcosa di più romantico? 

giovedì 5 settembre 2013

Paura delle giostre


Bisogna sempre fare i conti con le proprie paure. E' quello che ci succede tutti giorni. Mi sono sempre chiesto per quale motivo, quando mi trovo nei parchi di divertimento, certe giostre mi terrorizzino così tanto. Domenica scorso ho deciso di violentare la mia paura. Oscurare il partito della mia personalità che mi diceva in continuazione:  "tu lassù non ci andrai mai". Avete presente quella specie di cannone che vi spara in aria in verticale e poi vi lascia crollare in caduta libera su una piattaforma altissima?? Bene, fino all'ultimo istante, avrei voluto fermare l'omino che schiaccia il bottone dello start. Alla fine ho resistito. In cima ho sentito il sedere staccarsi dalla seggiola della giostra: il cuore si era fermato e un pugno nello stomaco si era manifestato nel mio animo! Tu guardi gli altri e sembra che non provino nulla, tu invece ti caghi sempre addosso. Alla fine ero fiero di me, bianco come un cencio ma fiero di me. 

mercoledì 28 agosto 2013

I centri commerciali

Lo ammetto, ne vado matto. Ogni scusa è buona per fermarmi a bere un caffè. Mi rilassano, mi fanno credere che il mondo sia un posto meraviglioso. Senza sporcizia, senza povertà, senza miseria. Sono tutti belli, tutti sorridenti, tutto è colorato e tutti mi vogliono bene. Basta che compro: un caffè ok, ma anche un pantalone, una maglietta, un i-pad, una pizzetta o un hamburger. 
Perchè mi piacciono così tanto i centri commerciali? Non riesco a capire. Eppure il loro fascino per me non ha risposta. Forse mi illudono di avere uno stile che non ho, di essere meglio di quello che sono. Mi piace guardare quelli che mi stanno intorno: le coppiette all'ultima moda, dove lui ha sempre un cappellino colorato e lei un tatuaggio sulla spalla bene in vista. Oppure lui il tatuaggio e lei il cappellino. Si prendono mano per la mano e si vede che hanno l'ansia di apparire diversi da tutte le altre coppiette, e forse sono lì proprio per rintracciare un totem che li distingua. Mi piacciono i padri di famiglia con la pancia ma con la maglietta attilatissima per far risaltare i pettorali, non fa niente se la pancia supera la linea delle tette. Mi piacciono i bambini urlanti incapaci di trattenere la voracità degli occhi che vogliono tutti. Mi piacciono le milf, mogli che tentanto disperatamente di apparire quindicenni. 
Mi piace tutto. Ma sono sicuro? 

lunedì 26 agosto 2013

Antipolitica e anticlericalismo in Ludovico Ariosto.


Mi sono ritrovato da poco a discutere con un caro amico filosofo mentre passeggiavamo in montagna. Secondo lui l'anticlericalismo oggi è quanto mai diffuso. Tutti pronti a prendersela con i preti, la chiesa e compagnia bella. Spesso sono proprio quelle persone che mandano i figli a far battezzare, cresimare e sposare. Va bene puntare il dito su fb, ma quando bisogna approfittare di una bella festa, allora è il momento di mettere in secondo piano tutto, e adeguarsi al tam tam sociale. 
In fondo so che è così. Eppure in un mio vecchio post avevo scritto che certe cose succedono e succederanno sempre, in ogni posto e in ogni tempo. Basta pensare all'antipolitica. Di fronte al potere, l'uomo subisce una tentazione così forte, che solo una cultura etica fortissima può stemperare nel bisogno del bene comune. La rabbia è più forte oggi? 
Forse varrebbe la pena davvero diminuire il tasso di sdegno e aumentare l'educazione in vista di generazioni migliori. 
Possiamo dimenticare la rabbia di Dante nei confronti della Chiesa, Bonifacio VIII e contro il decadimento dei costumi di tutto il clero? Stiamo parlando del 1200. 
Persino in Ludovico Ariosto questo sentimento ritorna, e siamo nel 1500. Stiamo parlando di un poema totalmente differente dalla Divina Commedia, e soprattutto con finalità tutt'altro che profetiche. Tuttavia Ariosto non può esimersi dalla critica della sua società. In questo passo l'arcangelo Michele è alla ricerca del Silenzio, su richiesta di Dio. Il Silenzio dovrà aiutare l'esercito inglese a raggiungere quello Francese per sconfiggere Agramante e il suo esercito. 
L'angelo lo cerca in un monastero ma quello che trova è davvero tutt'altro. 

Vien scorrendo ov’egli abiti, ov’egli usi;
     e se accordaro infin tutti i pensieri,
     che de frati e de monachi rinchiusi
     lo può trovare in chiese e in monasteri,
     dove sono i parlari in modo esclusi,
     che ’l Silenzio, ove cantano i salteri,
     ove dormeno, ove hanno la piatanza,
     e finalmente è scritto in ogni stanza.
Credendo quivi ritrovarlo, mosse
     con maggior fretta le dorate penne;
     e di veder ch’ancor Pace vi fosse,
     Quiete e Carità, sicuro tenne.
     Ma da la opinion sua ritrovosse
     tosto ingannato, che nel chiostro venne:
     non è Silenzio quivi; e gli fu ditto
     che non v’abita più, fuor che in iscritto.
Né Pietà, né Quiete, né Umiltade,
     né quivi Amor, né quivi Pace mira.
     Ben vi fur già, ma ne l’antiqua etade;
     che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,
     Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.
     Di tanta novità l’angel si ammira:
     andò guardando quella brutta schiera,
     e vide ch’anco la Discordia v’era.