sabato 19 aprile 2014

Pinocchio della compagnia La Traccia.

Uno dei miei tanti amori è stato sicuramente il teatro. Ero un ragazzo del liceo quando ho scoperto la danza della parola con il corpo. Essere un altro, vivere emozioni che solitamente la vita non può regalarci. Ho affrontato lo stesso personaggio che mi è capitato di incontrare qualche giorno fa. Pinocchio. Erano ragazzi di un liceo proprio come lo ero io. Pinocchio è la forza nascente, l'origine che sprigiona energia senza limiti, senza barriere esterne. Si nasce e si fa quel che se ne ha voglia. La natura che non conosce costrizioni, libera dalle architetture morali. Non si può credere che fare solo il proprio bene ad un certo punto non si scontri con il bene degli altri. È per quello che questo personaggio piace tanto a teatro, soprattutto a questa età. È il bambino che dobbiamo rispettare ma anche contenere. Si cresce e lo accarezziamo con affetto, vive dentro di noi sempre, ma ad un certo punto, arriva il momento in cui dobbiamo mettere davanti a noi stessi il bene degli altri.  Bellissima questa rappresentazione. Incredibile la prova del protagonista. Certe persone sanno comunicare su un palco le emozioni che non riusciamo a far emergere dal fondale oscuro del nostro mondo interiore. È questa la grandezza di un attore. Farci dimenticare del nostro corpo e perrmettere così una vita nuova, per tornare ad abitare noi stessi più preparati e consapevoli.

domenica 13 aprile 2014

Tristano e Isotta: il più bel finale d'opera.

"Fra l'amore e la musica c'è questa differenza: l'amore non può dare l'idea della musica, la musica può dare l'idea dell'amore" Ho ascoltato questa citazione qualche giorno fa. E' una frase di Hector Berlioz, e per quanto la si possa contestare in ogni modo, l'ho trovata molto vera. La musica può diventare l'unica alternativa ideale all'amore, perchè è in lei che avvertiamo l'assoluto e totale equilibrio mistico fra una spinta ideale e la sua vera realizzazione. 
Da un anno ho iniziato con passione ad ascoltare Wagner, e dopo altri post dedicati a questo autore non riesco a non parlarne ancora. Mi è venuta in mente questa frase di Berlioz ascoltando il finale del Tristano e Isotta. Nella parabola musicale di Wagner l'autore rifiuta la forma operistica classica: niente arie, niente duetti, terzetti, cori ... nessuno sfoggio di abilità canore e facile occhiolino alle esigenze di scena. La musica è un tessuto sinfonico e narrativo che non si può interrompere. Le voci asservite all'orchestra e alle emozioni che le pervadono. Forse questo è uno dei pochi momenti in cui l'idea dell'Aria, entra nella pagine di Wagner. Una melodia divina. Non umana, non terrestre, non presente. Sembra eterna, c'era prima e ci sarà dopo. Wagner ce la regala solo alla fine, nella sua totale potenza. L'avvertiamo in altri punti dell'opera ma solo qui esplode in tutta la sua forza regale. E' l'equilibrio che sentiamo quando siamo uniti a un'altra persona. L'amore che è dissoluzione, un amore che se lo pensiamo rischiamo di sparire, dissolverci, perché tutta questa bellezza che la vita ci regala non è possibile sostenerla pienamente. Non si può amare così, in questo modo. Non si può amare fino a perdere la testa, fino a spogliarci della nostra identità perché non sopportiamo più di stare lontano dall'amore. Un volo che ci scioglie le ali, ci fa precipitare nell'oblio, e nella voglia di non essere. Amore e dolore. Desiderio di sparire abbracciati alla colonna portante del nostro amore. Eccola allora la musica. Solo lei può dare l'idea di questo amore infinito, solo lei forse sa arrivare a quelle vette sublimi che Wagner riesce a donarci in questa pagina. Un sogno da cui non ci si può più svegliare

https://www.youtube.com/watch?v=2D-hnjpivqg





martedì 8 aprile 2014

L'appassionata. La più bella sonata.


Quando oggi l'ho ascoltata, mi sono reso conto del motivo per cui mi incuriosiva così tanto da ragazzo. Quando sei un adolescente lo capisci di più Beethoven. La cassetta dov'era registrata l'Appassionata credo di averla consumata. Per molti questa sonata racchiude un po' tutto il pensiero di questo musicista. Forse il più grande, anche se fare classifiche non ha molto senso in questo ambito. Eppure Beethoven ha sempre avuto per me un fascino particolare. Si tratta del modo di concepire la musica, solo lui la vedeva in un modo così particolare. 
L'appassionata è la sonata delle forze di movimento. Quando l'ascolti percepisci come due vite si intreccino. La vita dedita alla serenità e all'equilibrio e quella votata alla passione che distrugge. I primi passaggi sono emblematici: un mare calmo, limpido e senza sorprese viene sconvolto da ondate improvvise, uragani che si scatenano per poi scomparire in un attimo. Crediamo di passare indenni l'esistenza per essere sorpresi da vortici infiniti. Beethoven è la ricerca spasmodica di un equilibrio, di un modo di pensare che ci preservi dall'autocollisione con noi stessi. Un'intera sinfonia è racchiusa nella pagine di questa sonata proclamata da due sole mani su una magica tastiera. Spinte irrefrenabili che si risolvono in una pausa, un sospiro, un velo di rugiada. Forse non può esserci equilibrio in una vita appassionata, ma probabilmente non può nemmeno sparire la pace in una vita dedita alle passioni. 

https://www.youtube.com/watch?v=0Ak_7tTxZrk

lunedì 7 aprile 2014

Mi sono fidanzato con Radio Tre

Lasciare una radio per un'altra è un po' come cominciare una nuova vita. Quasi lasciare la donna con cui hai condiviso anni importante per intraprendere una nuova avventura. Non dirò la radio che ascoltavo fino ad ora. Anche per rispetto nei confronti di chi mi ha tenuto compagnia così tanto tempo. Evidentemente però, è tempo di cambiamenti. Ho scoperto Radio tre per caso. Soprattutto perché ero stufo di ascoltare deejay che si autoproclamavano i migliori, i più interessanti, con le vite più imperdibili. I media sono sempre più autoreferenziali, terrorizzati forse di perdere il loro successo acquisito. Radio tre è tutto il contrario. Prima il contenuto, poi la voce. Capita che i conduttori si alternino. Pubblicità quasi inesistente. Concerti di un'ora, un'ora e mezza. Nessuna esigenza di ascolti.  Nessuna facezia del momento. Argomenti stupidi che le radio si rimbalzano in continuazione, qui manco vengono presi in considerazione. L'intelligenza dell'ascoltatore è considerata ai massimi livelli. Avevo bisogno che non mi si urlasse addosso, che la polemica facile, la battuta inutile, uscissero per sempre dalle onde radio. A fine giornata mi sento meglio, più ordinato, più in pace con me stesso. Provare per credere.

martedì 1 aprile 2014

Sussurri e grida. Il film sul dolore.

Certi film sono veri pugni allo stomaco. Non tanto per le immagini, le storie, il montaggio, i personaggi. Sono i film che non seguono l'ordine logico che conosciamo. Parlo di quei film dove il regista ci studia, ci previene, ci prende in giro, ci affascina e poi ci colpisce alla bocca dello stomaco. 
Sussurri e grida è una parabola sul dolore. Una parabola senza una vera morale, senza una vera lezione. Il cancro è una delle malattie più citate e abusate nel cinema. Per chi la vive tutti i giorni, in casa, diventa persino fastidioso, un vero abuso per chi sa di cosa stiamo parlando. E io un po' credo di saperlo. Eppure è una delle malattie che maggiormente interrogano l'uomo sul senso del dolore e della sofferenza. E' una malattia che non ha origine, non ha spiegazione, non ha una durata, e soprattutto non ha una cura. Tocca soffrire, portare la croce. Questa croce che la nostra cultura Cattolica ci ha consegnato costruendo un'idea per la quale tutta questa sofferenza sia necessaria, un viatico assoluto e impareggiabile per la vita eterna. 
Poi c'è la malattia dell'anima, la malattia dello spirito. Chi la vive non può vestire il dolore fisico. Non può attraversare le piaghe di Cristo. Può ammalarsi di qualcosa di più grave forse, più incurabile, più nocivo. Se lo spirito muore, se la speranza ci lascia, non resta più niente dentro di noi. Non ci sono gli occhi per vedere al di là di un corpo, al di là di quello che la nuda materia può da sola insegnarci. Rimane il nulla. Delle tre sorelle solo quella malata, solo chi porta la croce, conosce per assurdo la felicità. Solo da lei si irradia la speranza e la vita.