lunedì 26 agosto 2013

Antipolitica e anticlericalismo in Ludovico Ariosto.


Mi sono ritrovato da poco a discutere con un caro amico filosofo mentre passeggiavamo in montagna. Secondo lui l'anticlericalismo oggi è quanto mai diffuso. Tutti pronti a prendersela con i preti, la chiesa e compagnia bella. Spesso sono proprio quelle persone che mandano i figli a far battezzare, cresimare e sposare. Va bene puntare il dito su fb, ma quando bisogna approfittare di una bella festa, allora è il momento di mettere in secondo piano tutto, e adeguarsi al tam tam sociale. 
In fondo so che è così. Eppure in un mio vecchio post avevo scritto che certe cose succedono e succederanno sempre, in ogni posto e in ogni tempo. Basta pensare all'antipolitica. Di fronte al potere, l'uomo subisce una tentazione così forte, che solo una cultura etica fortissima può stemperare nel bisogno del bene comune. La rabbia è più forte oggi? 
Forse varrebbe la pena davvero diminuire il tasso di sdegno e aumentare l'educazione in vista di generazioni migliori. 
Possiamo dimenticare la rabbia di Dante nei confronti della Chiesa, Bonifacio VIII e contro il decadimento dei costumi di tutto il clero? Stiamo parlando del 1200. 
Persino in Ludovico Ariosto questo sentimento ritorna, e siamo nel 1500. Stiamo parlando di un poema totalmente differente dalla Divina Commedia, e soprattutto con finalità tutt'altro che profetiche. Tuttavia Ariosto non può esimersi dalla critica della sua società. In questo passo l'arcangelo Michele è alla ricerca del Silenzio, su richiesta di Dio. Il Silenzio dovrà aiutare l'esercito inglese a raggiungere quello Francese per sconfiggere Agramante e il suo esercito. 
L'angelo lo cerca in un monastero ma quello che trova è davvero tutt'altro. 

Vien scorrendo ov’egli abiti, ov’egli usi;
     e se accordaro infin tutti i pensieri,
     che de frati e de monachi rinchiusi
     lo può trovare in chiese e in monasteri,
     dove sono i parlari in modo esclusi,
     che ’l Silenzio, ove cantano i salteri,
     ove dormeno, ove hanno la piatanza,
     e finalmente è scritto in ogni stanza.
Credendo quivi ritrovarlo, mosse
     con maggior fretta le dorate penne;
     e di veder ch’ancor Pace vi fosse,
     Quiete e Carità, sicuro tenne.
     Ma da la opinion sua ritrovosse
     tosto ingannato, che nel chiostro venne:
     non è Silenzio quivi; e gli fu ditto
     che non v’abita più, fuor che in iscritto.
Né Pietà, né Quiete, né Umiltade,
     né quivi Amor, né quivi Pace mira.
     Ben vi fur già, ma ne l’antiqua etade;
     che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,
     Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.
     Di tanta novità l’angel si ammira:
     andò guardando quella brutta schiera,
     e vide ch’anco la Discordia v’era.


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