mercoledì 30 gennaio 2013

Il libero aribitrio esiste?

Sto leggendo un libro sul funzionamento della mente. Pare che la scienza non riesca a trovare in un cervello umano un barlume di libero arbitrio. La cosa mi ha davvero sconvolto. Voglio dire prendete un criminale e prendete la vostra mente. Se il vostro cervello non avesse subito le stesse influenze della mente criminale, dal momento del vostro concepimento fino ad oggi, pensate davvero che non avreste potuto commettere gli stessi delitti? Pensate a quante volte non sapete resistere a un dolce, a una pennichella durante il lavoro, a una presa in giro particolarmente cattiva diretta ad un vostro amico. Se moltiplicate questa tentazione per un milione, forse per un miliardo avreste magari un'idea di quello che spinge una mente deviata a commettere un delitto. Respirare mercurio nel feto della madre, subire microlesioni alla testa durante l'infanzia ad opera dei genitori, influenze dell'ambiente, geni modificati, compagnie poco raccomandabili. Che differenza c'è fra un attacco epilettico che ti porta ad uscire fuori strada ed investire un passante, ed un delitto frutto di un cocktail di agenti che non possiamo scindere ed individuare?
Non è che non esiste la colpa. Forse dobbiamo smettere di giudicare in maniera sprezzante chi commette anche il più spregiudicato delitto, ed ammettere che il carcere deve portare alla riabilitazione del colpevole, non all'esclusiva punizione fine a se stessa.

sabato 26 gennaio 2013

Un bel fim: Sei gradi di separazione. E un altro bel monologo

Pensate a tutte le volte che non avete abbassato il finestrino dell'auto, quando un mendicante vi chiedeva una monetina al semaforo. Immaginate un giorno qualsiasi mentre andate al lavoro, immaginate quel semaforo e la vostra indifferenza. Non c'è da vergognarsi, mi ci metto dentro anche io mille volte. Poi facciamo finta che quella mattina, prima di arrivare al solito incrocio, un vostro collega vi chiama, e vi dice che l'ufficio è chiuso stamattina, è arrivata una telefonata anonima e pare che qualche folle abbia messo una bomba nel palazzo. La polizia indaga e voi quella mattina non dovete fare altro che tornarvene a casa. O no? Decidete di farvi una bella passeggiata nel parco che vedete ogni giorno scorrendo con la macchina, ma che non avete mai avuto il tempo di esplorare. Vi comprate un bel giornale e scegliete una panchina. Poco dopo si avvicina un tale di colore che si siede all'altro bordo della panchina. Sembra un extracomunitario, ma è tranquillo. Sembra stanco. Continuate a leggere, poi arriva una telefonata. Prendete il cellulare e appoggiate il giornale fra voi e il tale. La telefonata è lunga, una persona che non sentivate da un po'. Il signore seduto all'altro bordo vi chiede se può dare un'occhiata al giornale, e voi gli fate cenno di sì, e intanto continuate a parlare. Poi dopo un po' il tizio con in mano il giornale si mette a piangere a dirotto. Interrompete la telefonata. Volete sapere che è successo. Allora lui vi racconta che nel suo paese è scoppiata una guerra civile, che sul giornale ha visto le foto di villaggi distrutti. VI racconta che è scappato con la sua famiglia in tempo, ma altri non sono stati fortunati come lui. Lui si considera fortunatissimo anche se per ora, per sopravvivere, è costretto a fare l'elemosina al semaforo. Ecco, è lo stesso tizio di sempre, il signore di colore che non avete mai guardato negli occhi. Non vi chiede nulla, ma voi gli date una bella banconota da dieci euro. Cosa è successo? Cosa è cambiato?
Sei gradi di separazione non racconta questa storia, me la sono inventata io ora. Ma parla di un concetto che distinugue noi umani da ogni altro essere animato. Possiamo dirci indifferenti al mondo, e pensare a noi stessi ogni secondo. Ma quando una vita incrocia fortemente la nostra, allora, quello che non sembrava un nostro problema diventa un nostro problema. E questo è un altro bel monologo, dove il protagonista parla del giovane Holden

http://www.youtube.com/watch?v=rWbmPJ1rfXU

 

domenica 20 gennaio 2013

Quello che so sull'amore e il cinema di Muccino

Ho appena iniziato un libro che spiega il funzionamento della mente. Pare che il nostro io cosciente rappresenti una parte infinitesimale di tutto il lavoro svolto dal cervello. Immaginate il mondo con tutti i suoi ingranaggi: chi si occupa dell'impianto fognario, chi di rimuovere i rifiuti, ci sono quelli che occupano gli uffici e quelli impiegati nella produzione di svariati prodotti. Insomma un brulicare di attività di cui non ci importa nulla. Ci basta leggere un giornale per scoprire le notizie più importanti. Ecco il mondo è la nostra mente e quello che sappiamo di noi stessi le notizie di un quotidiano.
Perchè amo così tanto il cinema di Muccino? E perchè non ha funzionato questo suo ultimo film? I personaggi di Muccino sono preda di tutto cio che non è cosciente. Si muovono schiavi dei loro impulsi più nascosti, più segreti. Ogni scelta razionale viene evitata, travolti da una girandola di situazioni da cui non sanno uscire. Sono burattini mossi dalle passioni, dominati da un piccolo grande alieno che è il cuore. E' questo il suo modo di vedere il mondo e di descrivere l'uomo. E' la sua cifra stilistica, il suo marchio che lo discosta unico da tutti gli altri registi. Un grande regista ha sempre uno stile inconfibile: l'eroismo epico di Cameroon, l'occhio visionario di Nolan, la macchina vendicativa e sarcastica di Tarantino, l'aggressività repressa di Scorsese, la molteplicità degli eventi in Jackson. In Muccino ricordo suo fratello più giovane che in "Come te nessuno mai" correva per raggiungere alla fine il vero amore, ricordo l'Accorsi dell'Ultimo Bacio che in una piano sequenza memorabile cerca di convincere la moglie a perdonarlo, ricordo una ragazzin disposta a tutto pur di ottenere una parte di velina in "Ricordati di me", ho adorato il Favino in "Baciami ancora" che, pur di riconquistare la moglie che ama più di qualsiasi altra cosa al mondo, è capace di dimenticare un tradimento terribile. Come dimenticare Will Smith che corre, corre in continuazione per salvare una situazione economica disperata? Ed assicurare a suo figlio il futuro che merita?
In questo ultimo film, Muccino è come un leone in gabbia. Evidentemente pressato dalla produzione non riesce a far emergere la sua visione del mondo, la sua filosofia degli eventi, il suo marchio inconfondibile. Il protagonista, che in tante scene, appare come una copia sbiadita del fratello di Muccino, con quei capelli al vento, l'occhio inumidito, e un sorriso facile, non è in grado di accendere i nostri neuroni specchio e farci percepire il disagio dell'uomo che non sa prendere delle scelte. Detto questo il film comunque è piacevole, non riuscito forse, ma verso la fine qualcosa del grande cinema di Gabriele sembra tornare a galla, e solo per quei pochi secondi ho capito che può tornare a farmi piangere.