giovedì 23 luglio 2015

Il secondo romanzo di Giovanni Pennati: Gli angeli non hanno memoria.

Così eccomi al secondo romanzo, da poco caricato su Amazon e presto su Ibooks.
Non si ferma mai la malattia di scrivere. Un vizio diffuso, ma non certo fra i più gravi.Mi fermerò mai? Chi può dirlo ... smetterò di sognare? Di essere un ragazzino che sogna di diventare scrittore? Permetterò a me stesso di diventare grande? 
Il cacciatore di canzoni mi ha fatto conoscere persone e posti che non immaginavo di poter incontrare: 
Roma, i provini per la televisione, parlare in radio con Fabio Volo, visitare la Biennale di Venezia, scoprire un mondo di autori non riconosciuti che desiderano farsi sentire. 
Scrivere è un sollievo per l'anima e quando qualcuno ti legge e si emoziona ... bè tutto l'oro del mondo non vale questa emozione. 


giovedì 9 luglio 2015

Signori e signore, ecco il terremoto della letteratura italiana: i Canti del Caos.

Dopo quasi due mesi questa enorme montagna è stata scalata. Ho visto la cima. Questo è l'Everest e la fossa delle Marianne. Il vertice e l'abisso della letteratura italiana. 
Ho sempre pensato che ci sia una sottile magia nel modo in cui i libri ci scelgono: esiste un nodo preciso che avvolge i libri ai propri lettori. I Canti del Caos è un libro che non si può consigliare certo a un amico, i Canti del Caos è un libro che bisogna scegliere di leggere. Una sfida che si può solo accogliere, senza pregiudizi, con mente aperta, anzi totalmente divaricata. 
Il momento in cui mi ci sono tuffato era perfetto, lo puoi affrontare solo in un periodo così: quando senti che niente ha davvero senso, quando sei perso in un oceano di caos, dove la vita si spezza in mille direzioni e tu non sai più quale percorrere. Ossessione, paura, sgomento, delirio, pornografia, incubo e distruzione. Deviazione e perversione.
Quando ho cominciato a leggerlo, mi sono reso conto che le cose attorno a me non si muovevano più: il tempo in cui le cose sono sospese si ferma, si immobilizza. E' questo lo sforzo immane di Antonio Moresco: calare il lettore in un universo costellato di metafore, personaggi, ambienti, dove le coordinate di spazio e tempo con cui le narrazioni si costruiscono da sempre vengono completamente spazzate vie. Centinaie di pagine dove nulla si muove, anzi tutto vorticosamente, distruttivamente, incoerentemente, si avvolge su se stesso senza andare davvero da nessuna parte. 
Basta elencare gli aggettivi che più si ripetono nel romanzo, non romanzo. Arrovesciato, scoppiato, sfuocato, immobilizzato, sbarrato. Ecco come si può descrivere questo libro. 
Ci inorridisce, ci sbrana, ci imbarazza, ci disgusta. Ma ci fa anche sentire terribilmente vivi, ci rende partecipi di quel senso di vuoto e di caos che imbriglia l'essere umano. Perchè siamo tutti illusi che le nostre vite abbiano un senso, di appartenere a un disegno. In realtà non apparteniamo a nessuno e nessuno ci appartiene. 
I canti sono perle dure e scabrose, ma affascinano nella ricerca spasmodica di un linguaggio che stritola il lettore nelle fauci dell'autore. Verso la fine Moresco ci invita a cogliere tutto il senso di questo enorme esperimento linguistico durato per lui ben quindici anni: 

Muovendomi attraverso questa misera cosa cui è stata la ridotta la letteratura, che è invece una fessura, una cruna attraverso la quale una nuda voce increata può ancora parlare alla propria specie arrivando fino alle sue strutture più profonde e più esplosive e segrete, nella generale e portentosa chiusura di spazi della vita biologica, sociale e mentale dell'uomo, se non sta al suo posto, se si carica nel suo inarrestabile andare di ogni possibilità e potenzialità, di ogni tensione e invenzione e precognizione e pensiero, se si apre a fondo, si lacera, si spalanca, si squarcia e va a esplorare, a occupare e a forzare in questo incontenibile e scaraventato movimento anticipato e increato la dimensione infinitamente più vasta in cui è contenuta e serbata.

giovedì 2 luglio 2015

Il più bel film sul padre: Che ora è?

Grazie a Dio ho avuto modo di rivedere quasi tutti i film di Troisi nelle ultime settimane.
Mi sono sempre sentito un po' come lui, per quello mi ci rivedo tanto, così come tanti si sono rivisti e continuano a rivedersi. 
Quei modi di fare, quel sentirsi sempre fuori posto, l'incapacità di trovare un vero posto nel mondo, sono i caratteri fondamentali di un'intera generazione. 
Il mancato posizionamento sociale, morale, sentimentale, si presenta fortemente anche in questo film. 
Facendo un po' il punto della situazione, direi che il tema del padre e del figlio è sempre stato molto presente in questo mio inutile blog. Il libro più bello sul padre: Lettera al padre di Kafka, e la poesia più bella sul padre, quella di Rilke. Ora parlo anche del film più bello sul padre: Che ora è? 
Uno di quei film dimenticati, ma che non puoi ignorare. Sarà perchè l'ho visto insieme a mio padre in questo momento un po' difficile per tutti. 
Mi sono rivisto perchè è sempre immensamente difficile parlare con un padre. Con la mamma no, era sempre facile: lei parlava anche per ore, e tu la dovevi ascoltare per forza. Con tuo padre, invece, alle volte non sai cosa dire: volano enormi balle di fieno nei campi mentre stai con lui in macchina e ti sforzi di trovare un argomento. Ma è normale che sia così: l'amore paterno pretende: ti vorrebbe vedere con un certo lavoro, una certa donna, una famiglia, un ruolo. Per un padre un figlio dovrebbe essere sempre il frutto di un sacrificio. L'espressione matura del proprio futuro. 
Troisi di fronte al padre Mastroianni si ribella a questa posizione. Lui non sa quello che vuole dalla vita e basta. Non vuole scegliere. "Io non so scegliere". Questi due mostri del cinema mi fanno capire quanto la fiamma viva del cinema italiano si sia ormai spenta per sempre. Forse non poteva capitare altrimenti, ma la poesia dei sentimenti, non la trovo più nel nostro cinema.