giovedì 26 settembre 2013

Quentin Tarantino e Ludovico Ariosto

Sono mesi ormai che tento di finire l'Orlando Furioso, è una lettura impegnativa ma la mia speranza è che rispetto ad altre letture qualcosa si infili il più possibile nella mia memoria. La speranza, insomma, è di ritenere un po' di più quello che leggo. Che bello quello che diceva Dante: che non è scienza, senza lo ritenere, l'avere compreso. Ebbene due giorni fa ho rivisto Django di Tarantino, e mi sono accorto che questa violenza, così vituperata nei film di questo regista, non è poi così lontana dai poemi cavallereschi.
Basta leggere le gesta di Orlando, Ruggiero, Mandricardo, Rodomonte, Astolfo, Marfisa. Quando leggi l'Ariosto leggi duelli degni dei più violenti film di Tarantino, teste che volano, sangue che inonda i prati, braccia che saltano, spade che penetrano cuori.
In realtà la violenza e la guerra sono dentro l'uomo. E' lì. Non possiamo farci niente. Ci spaventa e ci affascina. Ci terrorizza, ma non riusciamo a staccare l'occhio. L'arte non può fare altro che esorcizzarla, sublimarla insomma. E allora c'è poi una così grande differenza tra questo Django che uccide senza pietà per liberare sua moglie dal folle proprietario delle piantagioni di cotone e Orlando che libera donzelle rapite dai ladroni ? Da cavalieri che aiutano donne imprigionate su uno scoglio in attesa di essere sbranate da un'orca assassina?

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