venerdì 21 febbraio 2014

La più bella canzone di tutti i Festival di Sanremo


Sono tanti anni che non perdo un festival di SanRemo. E' una malattia così, non ci posso fare nulla. 
Giorni fa discutevo con mia sorella sull'evoluzione della musica italiana. E' un mio mio modo di vedere le cose, ma credo che certe canzoni non si scrivano più. Non ci sono canzoni che mi abbiano particolarmente colpito quest'anno, di certo non me ne ricorderò nessuna in futuro. Ma è così difficile ricordare una canzone. 
Che cosa avevano le canzoni italiane fra la fine degli anni ottanta e i primi del novanta? Erano canzoni italiane, punto. Canzoni davvero italiane. Lascio stare il mondo dei cantautori, intoccabile e sacro, parlo di alcune stelle che hanno calcato l'Ariston per poi eclissarsi nell'ultimo periodo. Non se ne scrivono più così: frasi semplici, storie chiare, emozioni vive. Voglio dire, non c'è più narrazione nelle canzoni di oggi. Frasi suggestive magari, versi complessi, immagini ricercate. Ma dietro? 
Mi piacevano le canzoni che raccontavano storie, con una radice romanzesca, piccoli racconti di vita. Una donna che racconta a una figlia di non fidarsi degli uomini che tanto non cambieranno mai, la voglia di partire per posti lontani con la donna della propria vita, la paura di amare perchè non ci si sente degni, e così via, così via. 
Alla fine quando discuto di queste cose, mi viene in mente sempre quella canzone. E' l'evidenza di come le canzoni erano una volta, parlavano a tutti, con poche parole. Dopo tanti anni il figlio chiede alla madre di ballare con lui come faceva una volta. Ancora una volta mamma, sciogli quei tuoi bei capelli e balla con me. 
Melensa? strappalacrime? Sdolcinata? 
Uno può pensare quello che vuole ma qui la melodia e le parole suonano. Vocali e consonanti che dicono qualcosa di preciso e che con la musica ti arrivano precise dentro. 

http://www.youtube.com/watch?v=kgo2ae-lw6o


lunedì 17 febbraio 2014

A proposito di Davis. E il cinema dei fratelli Cohen


I film dei fratelli Cohen hanno una loro magia. Così non mi sono sottratto nemmeno questa volta. 
Mi sono sempre piaciute le storie sui cantanti folk. In Italia l'unico autore che potrebbe ricordare questo genere di musica credo possa essere soltanto il compianto De Andrè. In questo film le storie delle canzoni diventano la materia con cui la vita stessa del cantante si costruisce. Storie di persone infelici, a cui la vita non regala nulla. 
Nei film dei fratelli Cohen la struttura si ripete sempre in maniera implacabile. Il protagonista pretende di cambiare la sua vita e realizzare i suoi sogni con ogni mezzo. In questo caso, il protagonista mette il suo sogno davanti a qualsiasi cosa, a qualsiasi responsabilità. Non ha una casa, un affetto, una famiglia, nessuno che lo ami davvero. Conta solo il suo desiderio. Nei film dei fratelli Cohen ci sono sempre quelli che mi piace chiamare "I guardiani". Personaggi che impediscono al protagonista di modificare, mutare la sua condizione. Personaggi grotteschi che ostacolano in ogni modo il cammino, gettando il personaggio nel totale fallimento. 
In questo film l'amore per la musica di questo protagonista e per le sue canzoni è assolutamente straziante. Vivere di un sogno non è sempre possibile, e io credo di saperne qualcosa. Una delle immagini che mi porterò appresso quest'anno credo sarà sicuramente questa: Davis che si trascina nella neve, senza un soldo, con la sua chiatarra a tracolla, con i piedi zuppi, nella tormenta. Su tutto lui stringe la sua chitarra. E anche quando deciderà di mollare, qualcosa dentro di lui, anche dopo l'ultimo colpo che la vita gli infligge, saprà preservarlo. Una certa serenità che la musica, al di là di ogni riconoscimento e denaro, gli sa offrire. Il potere infinito dei sogni

venerdì 14 febbraio 2014

L'esperienza di leggere. Francesco Petrarca e il suo lettore tipo.


Dopo essere stato in una delle mie librerie preferite, mi sono improvvisamente reso conto che la vita è troppo breve, e troppo lenta è la velocità con cui leggo i libri. 
Ci sono certe persone che i libri li mangiano, tutti a cercare libri scorrevoli che non danno problemi, che non impegnano troppo. Istant book. Come si fa a dare questo aggettivo a un libro? Cos'ha di istantaneo un libro. Per me nulla. 

Quando leggo fatico. Anzi pretendo di faticare. Pretendo di impegnarmi. Voglio che ogni frase abbia senso. Un senso talmente complesso da indurmi a riflettere. Qualcosa che mi induca non solo a leggere la carta stampata ma anche la carta dell'anima. Quella che ho dentro e che è la lettura più difficile da decriptare. Sono quelli i libri più belli, i libri che ci offrono il codice giusto per ingannare la macchina Enigma del nostro cuore. 

Oggi ascolto in radio uno scrittore che cita questo passo di Petrarca. Che meraviglia queste parole. Cè caro Francesco se fossi ancora vivo ti direi che è esattamente questa la mia esperienza di lettore. 

Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo, non alle nozze della figlia o alla notte con l’amante o alle insidie del nemico o al processo o alla casa o al podere o al tesoro; e almeno finché legge, voglio che sia con me. 

Se è è preoccupato dai suoi affari, differisca la lettura; quando si avvicinerà ad essa, getti lontano da sé il peso degli affari e la cura del patrimonio…

Non voglio che apprenda senza fatica ciò che senza fatica non ho scritto.

mercoledì 12 febbraio 2014

Una scelta di vita e libertà: La montagna dalle sette balze.


Mi sono immerso in questa lettura che da mesi mi richiamava. Come faccio di solito, mi piace scrivere le mie impressioni sui libri, non necessariamente dopo averli finiti. Alle volte mi pare che sia troppo tardi. Certe emozioni ti abitano mentre giri una pagina, mentre sei nella pagina. Ora sono quasi a metà. 
Un giorno mio padre accompagna mia madre a messa in un paese di montagna. C'è un'abbazia, o una cosa del genere. Il frate dal pulpito dice una frase, delle parole che colpiscono mio padre, e cita un libro. Mio padre a fine funziona corre dal frate gli chiede di ripetergli il nome del libro. Lo cerchiamo da tutte le parti e alla fine mia sorella lo trova. E' bello scegliere un libro in seguito a un percorso. Come se ti cadesse dall'alto. Non devi fare altro che prenderlo al volo. Dopo quasi tre anni mi sento pronto. La montagna delle sette balze racconta la storia di una conversione. Un viaggio esteriore che si trasforma in ogni pagina in viaggio interiore. Il protagonista sceglierà la vita monastica alla fine del suo tormentato percorso. Perché mi affascinano tanto le storie di conversione? Perchè la spiritualità si affaccia così tanto nelle mie giornate continuamente? Mi sembra ormai di non credere più in niente, in nessun Dio, e dopo aver letto Totem e Tabù di Freud ora mi sembra anche di capire da dove provenga il senso di colpa dell'essere umano. Eppure come i bambini che si avvicinano alle favole con occhi pieni di meraviglia la presenza di Dio in queste pagine ti accarezza continuamente. Una carezza che in certi momenti appare violenta, quando il peccato brucia nelle scelte del passato di quest'uomo. 
C'è una frase che ho scelto di citare, una frase geniale, la vera frase capace di contestare finalmente quell'adagio che tutti recitano quando si domanda cos'è la libertà. "La libertà significa fare qualsiasi cosa uno ne abbia voglia, senza fare del male agli altri". Ma mi chiedo: come si fa a misurare il limite? 

"Ma non è possibile vivere per il proprio piacere e il proprio comodo senza inevitabilmente ferire e danneggiare i sentimenti e gli interessi di coloro che ci stanno vicini. In realtà, qualunque siano gli ideali teoricamente possibili nell'ordine naturale, quasi tutti vivono più o meno per conto proprio, per gli interessi e i piacere propri e per quelli della propria famiglia o gruppo, e perciò si trovano continuamente in contrasto con le mire altrui e si urtano e si feriscono gli uni con gli altri, lo sappiano o meno."

sabato 8 febbraio 2014

Fare l'amore: la più bella descrizione nel cinema.


Bè di sesso non ho mai parlato nel mio blog. In un certo senso, non è che voglia parlarne nemmeno adesso. Ho rivisto ieri sera questo film. D'accordo non sarà il più bel film di Robin Williams, sarà fin troppo melenso e sdolcinato, certe scene sono di una banalità sconvolgente. Eppure, i film americani hanno sempre questo potere: non hanno paura di mettere mano ai luoghi comuni. Noi italiani vogliamo sempre per forza fare gli artisti. Figli di una grande tradizione letterale, artistica, umanistica, non sappiamo più usare le parole nel loro significato originario. Parlare alla gente che ha altro da fare magari, troppo stanca dalla fatica del proprio lavoro per immergersi in film complessi e cervellotici. Ascolto tanta gente descrivere altra gente con appellativi come: la gente è ignorante, la gente non capisce niente, la gente è attirata dalle solite cose. 
Il fatto è che non tutti hanno avuto la possibilità di studiare, non tutti hanno avuto la fortuna di conoscere Dante e Petrarca. Molti fanno un lavoro duro e non hanno gli strumenti per arrivare troppo al di là. Si può anche parlare con parole semplici, usare mezzi comuni, cliché già collaudati per descrivere la bellezza del mondo. Perchè no? 
L'uomo bicentenario è la parabola di un robot che vuole diventare uomo. Attraversa ogni stadio della progressione da macchina a uomo. Prima un volto, poi le emozioni, infine gli istinti. In questa scena al robot manca l'ultimo tassello: provare l'amore. L'amore completo, totale. Quello che richiede la mente e il corpo. Il tutt'uno con un altro essere. L'amplesso che unisce l'esperienza di nascita e morte. Quella forza che ci fa tornare indietro e avanti nel tempo. Il prima e il dopo. Fare l'amore. Ecco come la descrive, e quando la senti capisci che fortuna immensa può essere provare un'esperienza come la vita. 

http://www.youtube.com/watch?v=pU4UxEei7xU

lunedì 3 febbraio 2014

Saper trovare le parole giuste: i segreti di Osage County

Perchè mi piacciono tanto certi film? 
Forse con questo film l'ho capito. Tu entri in sala e non pensi a niente. O meglio, pensi tanto e convulsamente, ma non riesci mai a mettere ordine nei tuoi pensieri. Hai un groviglio di sensazione che non puoi chiarire. Alle volte pensare troppo e non pensare a niente sono stati che possono coincidere. Hai bisogno di sistemare le cose. Sono le parole che ci mancano tante volte. Quello che vorrei dire a un amico, a mia madre, a mio padre, al mio capo. Non troviamo le parole, non le troviamo maledizione, per quanto ci accapigliamo con noi stessi non ne siamo capaci. Siamo in balia di silenzi e di uno sgradevole "ehm", "voglio dire", "non lo so", "non so che dirti". 
Certi film sputano fuori tutte quelle cose che non sappiamo strapparci da dentro. I segreti di Osage Couty è un film così: un film dove le persone dicono quello che vorremmo saper dire nei momenti più difficili. Solo certi film americani ne sono capaci: non hanno paura di sembrare inverosimili. Certo, diciamolo, certi monologhi strappalacrime, certe espressioni, certe sceneggiate. Sono parole che non diremmo mai nella vita vera perché la società ci ha insegnato a costipare le emozioni per non sembrare patetici. Eppure in certi istanti ne avremmo davvero bisogno. Amo sentire così tante parole, amo vedere sullo schermo usarne in quantità industriale. Quei volti che esplodono di rabbia e dolore. 
Poi le luci si accendono e torno alla mia vita ordinata.