La fantascienza è uno dei generi
che in maggior misura portano l’uomo ad interrogarsi su se stesso. C’è ben poco da fare. Il fascino di questo
genere è rimasto immutato nella storia del cinema: quale domanda più alta
esiste di questa: perché questo esperimento nel nulla? Perché un mondo così
perfetto per manifestare vita? Gravity mostra tutta la condizione umana. Fuori
dal mondo non esiste niente. Il vuoto. Fuori dal mondo non esiste spazio, è
solo la terra la nostra casa e non ne avremo altre. Mentre la protagonista,
imprigionata nel vuoto cosmico, tenta disperatamente di tornare a casa, si avverte che quel vuoto non
è solo fisico, ma metafisico. Cuaron lo sottolinea sempre: una musica
minimalista incolla lo spettatore ad accorgersi di quanto fantastico e
desiderabile è il sogno della terra. Quanto è assurda la nostra incapacità di
rispettarla. Respirare l’aria: il più grande miracolo. Essere vita ha senso
solo perché fuori dalla terra non è pensabile vita. Ed è sempre quando guarda
quella immagine: la terra vista dalla spazio, quella combinazione
incomprensibile che ha portato tutta questa bellezza, è allora che mi chiedo
sempre: come si fa a non credere in Dio alle volte?
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