lunedì 7 ottobre 2013

Gravity: fisica e metafisica

La fantascienza è uno dei generi che in maggior misura portano l’uomo ad interrogarsi su se stesso.  C’è ben poco da fare. Il fascino di questo genere è rimasto immutato nella storia del cinema: quale domanda più alta esiste di questa: perché questo esperimento nel nulla? Perché un mondo così perfetto per manifestare vita? Gravity mostra tutta la condizione umana. Fuori dal mondo non esiste niente. Il vuoto. Fuori dal mondo non esiste spazio, è solo la terra la nostra casa e non ne avremo altre. Mentre la protagonista, imprigionata nel vuoto cosmico, tenta disperatamente di  tornare a casa, si avverte che quel vuoto non è solo fisico, ma metafisico. Cuaron lo sottolinea sempre: una musica minimalista incolla lo spettatore ad accorgersi di quanto fantastico e desiderabile è il sogno della terra. Quanto è assurda la nostra incapacità di rispettarla. Respirare l’aria: il più grande miracolo. Essere vita ha senso solo perché fuori dalla terra non è pensabile vita. Ed è sempre quando guarda quella immagine: la terra vista dalla spazio, quella combinazione incomprensibile che ha portato tutta questa bellezza, è allora che mi chiedo sempre: come si fa a non credere in Dio alle volte? 

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