Per una questione legata alla mia sensibilità “L’uomo
in più” rimane comunque il mio film preferito di Sorrentino. Quando l’ho visto
la prima volta, un bel po’ di anni fa, Sorrentino non era poi così conosciuto e
nemmeno Tony Servillo. Eppure sapevo che entrambi sarebbero diventati presto un’icona
importante per il cinema italiano. Quella figura di cantate alla fine della sua
carriera, infastidito dalla vita e dal chiacchiericcio del mondo, sarebbe poi
stata la maschera che Tony Servillo si sarebbe portato appresso in quasi tutte
le sue apparizioni cinematografiche.
“La grande bellezza” è un film di cui non so dare un
pieno giudizio. Quando guardi un film di Sorrentino su tutto vedi la mano del
regista perchè non tende mai ad astrarsi, a cucire un film dove il regista scompaia.
Attraverso gli occhi di Geb Gambardello (Tony Servillo), uno scrittore
risucchiato dalla mondanità di Roma, Sorrentino urla la sua presenza sulla
scena, si fa sentire, si fa vedere, si fa presenza, incarnandosi in un ognuno
dei fotogrammi che popolano questo film. E lo fa usando qualsiasi mezzo e
citazione a sua disposizione: e mi sembra di vedere Pasolini con quell’insistenza
sui primi piani grotteschi, kieslowsky
con l’invasione continua della musica sulle immagini, Bertolucci con la
girandola dei carrelli della macchina da presa, Malick con l’uso danzante e
ballerino degli attori. Forse non è nemmeno un caso il fatto che nell’ultima scena
del film Sorrentino riprenda la stessa musica usata da Malick nel suo
capolavoro “The tree Of Life”. Eccola allora la vera cifra stilistica di questo
regista: un occhio appassionato e straniato sulla realtà del mondo, sulle sue
contraddizioni, sul suo cinismo, sul suo amore negato. Su tutto rimangono
sempre quegli sprazzi di assoluta “Grande Bellezza”.