mercoledì 19 ottobre 2011

Crisi economica: una piccola favola

C'era una volta un'isola felice.
In quest'isola esisteva un'unica fabbrica. Il proprietario aveva un macchina d'argento mentre tutti gli altri abitanti che vi lavoravano avevano macchine normali. In questa fabbrica si produceva di tutto: da mangiare, vestiti, pentole, letti, qualsiasi cosa gli abitanti avessero bisogno. Il proprietario era un privilegiato certo, ma era apprezzato dalla popolazione perchè era stato in grado di assicurare a ciascuno un lavoro, un lavoro che permetteva a chiunque di avere una famiglia, una casa, e di mantenere i figli in maniera dignitosa.
Un giorno qualcuno decise di costruire un ponte, un ponte capace di collegare quest'isola al resto del mondo. Fu così che improvvisamente apparve un ricco signore con una macchina d'oro zecchino. Costui decise di costruire una nuova fabbrica dove i prezzi erano la metà di quelli proposti dal proprietario con la macchina d'argento. Fu così che tutti gli abitanti dell'isola decisero di acquistare quei nuovi prodotti, a loro in fondo conveniva di più. A poco a poco la prima fabbrica vide calare in maniera consistente gli acquisti e dovette chiudere. Gli abitanti che lavoravano nella prima fabbrica si videro senza lavoro e chiesero al proprietario con la macchina d'oro zecchino di lavorare presso di lui. Ben presto costoro si accorsero che il loro salario non era più quello che percepivano nell'altra fabbrica, lì il personale prendeva esattamente la metà. Il vantaggio economico di cui avevano beneficiato acquistando i prodotti della nuova fabbrica ben presto si annullò completamente, facendo conoscere a ciascuno di loro lo spettro terribile della fame. Con il passare degli anni molti se ne andarono da quell'isola e nemmeno alla seconda fabbrica conveniva più rimanere aperta. Quella che un tempo era un'isola felice divenne solo un'isola deserta.

Era un po' che avevo in mente questa favola, se dovessi spiegare a un bambino perchè tutti parlano di crisi economica credo che gli racconterei questa favola inventata da me per l'occasione. Le multinazionali a cui abbiamo concesso di aprire le loro filiali nel nostro paese hanno devastato il nostro tessuto economico e noi che abbiamo comprato da loro non ci siamo accorti che le aziende presso le quali lavoravamo stavamo morendo per le nostre scelte di acquisto (Ikea, Leroy Merlin, Mac Donald's, Burger King, Tommy Hilfiger, Nespresso, Nestlè, Tnt, Dhl, e chi più ne ha più ne metta). La crescita senza morale delle multinazionali ha depredato il nostro territorio e quello di tutti i paesi d'Europa, una concorrenza spietata dove le sole vittime sono gli umili e gli ultimi. Non si può pensare di crescere in continuazione a scapito di tutti.

giovedì 6 ottobre 2011

Inno alla carità

Sto per concludere anche la lettura del Nuovo Testamento.
Mi ha fatto un certo effetto imbattermi in questo inno alla carità di San Paolo. Un certo effetto dovuto al fatto che letto così, quai alla fine della Bibbia, mi sembra davvero il vertice di un cammino lungo e anche tortuoso che mi ha portato a leggere fino in fondo questo testo infinito. Parole che spesso ti scuotono, immagini che ti assalgono, rappresentazioni a volte violente e senza sfumatura alcuna.
Questo testo prende davvero il suo senso più alto solo se ci si arriva dall'inizio, un po' come scalare una montagna, attraversare un deserto, al di là di una tormenta, al di là delle paure, fuori dall'ipocrisia, via dai luoghi comuni, lontano dai limiti di ogni uomo.
E' un testo che la tradizione moderna ha saccheggiato, basti pensare a Nicholas Spark nel libro amatissimo dalle teenager nate negli anni ottanta: "I passi dell'amore". Un testo rapito al suo senso vero per trasmigrare alle funzioni di scritta da cioccolatino. RIcordiamo anche la canzone di Neck "se non ami" che cita praticamente tutto il testo.
Dobbiamo sempre prendere da ogni cosa il significato che ci fa più comodo, il testo non parla di amore, ma di carità. Eppure tutti in questa era gonfia di amore romantico hanno voluto chiaramente intepretarlo come più faceva comodo. E' carità infatti il significato vero del termine agape usato da San Paolo. E' un testo che anche un laico ed agnostico come me inchioda e ispira. Quello di cui parla San Paolo potrebbe essere intepretato come il senso a cui la vita in un mondo ideale dovrebbe tendere: la cura incondizionata verso il prossimo, come strumento unico per dare senso alla vita.
Sarebbe proprio bello saper vivere così, ve lo riscrivo qui, anche se molti lo ricordano a memoria ormai:

" Se anche parlo le lingue degli uomini e degli angeli, ma non ho la carità, sono un bronzo sonante o un cembalo squillante: E se anche ho il dono della profezia e conosco tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possiedo tutta la fede, si da trasportare le montagne, ma non ho la carità, non sono niente. E se anche distribuisco tutte le mie sostanze, e se anche dò il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi giova a nulla. La carità è magnanima, è benigna la carità, non è invidiosa, la carità non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine; le profezie scompariranno: il dono delle lingue cesserà; la scienza svanirà; conosciamo infatti imperfettamente e imperfettamente profetizziamo. Ma quando verrà la perfezione sarà abolito ciò che è imperfetto. Quando ero bambino parlavo da bambino, pensavo e ragionavo da bambinio. Ma quando mi sono fatto adulto ho smesso ciò che era da bambino. Adesso vediamo come in uno specchio, in immagine, ma allora vedremo faccia a faccia. Adesso conosco in parte, ma allora conoscerò perfettamente,come perfettamente sono conosciuto. Ora esistono tre cose: la fede, la speranza e la carità; ma la più grande di esse è la carità."