mercoledì 10 dicembre 2014

ZeroCalcare: Dimentica il mio nome


Era un anno che non la provavo. Sì che ne ho letti di libri quest'anno. Era l'emozione che mancava, il brivido, il fiato caldo sul collo, la scossa che solo certi libri ti sanno dare. 
Intendiamoci, certi libri non è che devono essere per forza più belli di altri. Per me i libri ormai sono come gli amici. Le persone che ci stanno vicine non si scelgono perché sono più brave e più belle di altre, è che sono giuste per noi, è questo il bello della vita, trovarsi. 
Così mi sono sentito dopo le prime pagine di questo libro. Come al solito, devo ringraziare la mia trasmissione radiofonica preferita, Farhenit, per avermi fatto scoprire questo autore. 
Erano anni che non leggevo più un fumetto, forse perché non trovavo l'occasione, forse perché leggere fumetti per me è sempre stato qualcosa legato a una parte di me perduta nel tempo. 
Ora però le storie bisogna scovarle ovunque, in un film, in una serie televisiva, in uno spettacolo teatrale, ora anche in un fumetto. 
Metà delle sensazioni di questo libro sono dentro alla magia del tratto di ZeroCalcare. Lui ricalca quella sensazione che ho ancora adesso. Stranito e scosso, spaesato, inadeguato, perduto, inquieto e ammutolito. Ci viene la nausea a noi degli anni ottanta se pensiamo al futuro. Però, è troppo bella la vita per non gustarci il bello che ci arriva così, quando meno ce lo aspettiamo. Nella roboante calca dei media, dove perle di inestimabile qualità ci arricchiscono i giorni: da Breaking Bad a Gomorra al Signore degli anelli a Star Wars; dalla vita dei nostri quartieri, ad ognuno il suo; dall'amore di mamma e papà che rimangono sempre la nostra ancora di salvezza; dalle pareti della nostra stanzetta che per la generazione zero nemmeno esistono perché chiusi nel quadratino dei loro computer e dei loro smartphone. 
In ZeroCalcare c'è l'ormai inconfondibile mantra che solo noi degli anni ottanta cominciamo a sentire sulla nostra pelle. Il fatto che in fondo i buoni e i cattivi non esistono. Che i veri cattivi sono solo quelli che osano dividere il mondo in due parti ben distinte: quelli che devono essere rinchiusi per sempre e quelli a cui è concesso definirsi uomini giusti. La rabbia contro il pregiudizio e il perbenismo, una rabbia che non è fine a se stessa, ma che urla vendetta contro chi ha voluto costruire un mondo a compartimenti stagni e che non sa che gli equilibri sono instabili, i movimenti inevitabili, la struttura in continuo divenire. 
In ZeroCalcare c'è la poesia delle leggerezza, l'ironia bella, chiara, liberatoria, sguaiata e fisica. Sono come lui, dannazione, quando guardo i miei compari così sicuri di sè, che prendono decisioni perfette, che sanno gestire le situazioni, i problemi, le responsabilità. Cosa so fare della mia vita? 
ZeroCalcare mi ha scovato, e mentre vedo qualcuno puntare il dito su di me, allora mi sento meno solo. Il più bel libro dell'anno si chiama  "Dimentica il mio nome"

lunedì 8 dicembre 2014

Magic in the Moonlight


Il mondo può anche essere privo di scopo, ma non si può certo dire che sia del tutto privo di una certa magia. Con questa frase Allen esplicita il senso di tutta la sua ultima opera. Combattuto fra l'evidente razionalità della vita e l'insopprimibile desiderio di qualcosa che non sia visibile e facilmente comprensibile, diviso fra l'idea di Dio e l'idea di un non senso a tutto ciò che ci circonda, scisso fra la verità e l'illusione, fra ciò che fa stare male e ciò che ci fa vivere bene, Allen costruisce una storia d'amore che rapisce e incanta. 
Perché ci possiamo dire atei convinti, materialisti e illuminati; ma non si può sopravvivere ai giorni senza sentirci parte di uno scopo, senza credere nell'esistenza di un'anima gemella, di un amore che ci soverchia. Ogni uomo sulla terra ha bisogno di un'illusione: una passione per il lavoro, per una donna, o anche per la nostra madre natura, ma senza quel respiro sulla pelle, senza l'ombra che vediamo dietro di noi, senza l'occhio di una telecamera immaginaria che riprenda il film della nostra vita, con i nostri difficili rancori e amori e delusioni e fantastici immaginari momenti di inesprimibile gioia, non si può, non si può dire io vivo. 
Magico Woody Allen.

mercoledì 12 novembre 2014

Per essere un figo devi avere la tazza. Altro che sigaretta.


E' da un po' di tempo che ci penso. 
Se negli anni ottanta, novanta e i primi anni zero mi capitava di vedere un film, una serie televisiva, uno spettacolo, il figo aveva sempre la sigaretta in bocca. L'uomo che non deve chiedere, che ha tutto il mondo in tasca. Quello con la sigaretta fa paura e piace, fa tenebra e appassiona. Le donne svengono, mentre la sigaretta lancia in aria il suo segnale, vero totem di pura seduzione. 
Nell'era attuale, salutista e progressista, concettualista e minimalista, green and polite, la sigaretta è stata gradualmente sostituita dalla tazza. Lei arriva, scombinatissima e vogliosissima, alla soglia della casa del suo lui. Non vede l'ora di abbracciarlo, entra in casa, lo cerca e non lo trova. Lo trova in cucina, in piedi, girato di spalle. Guarda fuori dalla finestra, mentre la pioggia imperversa sulla strada. Il gomito è piegato, e nell'ombra alla parete si intravede un oggetto non identificato chel suo lui regge in mano. E' la tazza. Sì, una bella tazza bianca da cui sale un nuovo totem di seduzione. Il fumo impalpabile dell'acqua calda. Così lui decide di baciarla, ma subito dopo aver dato un ultimo sorso alla sua bella tisana al cardamomo. Come cambiano i tempi

domenica 9 novembre 2014

L'attrice più bella nella storia del cinema: La vita di Adele.

La vita di Adele è un film lunghissimo. Ma tutta la trama è negli occhi di questa attrice fantastica. Non ti stanchi mai di guardarla, mentre è insicura della sua vita sentimentale, delle sue vere emozioni, di quello che vuole, di quello che desidera davvero. 
I suoi occhi sono la vera bellezza che il cinema ha bisogno di rappresentare. Il regista indugia continuamente sui primi piani delle attrici, quasi che la macchina da presa volesse entrare nella loro testa, nei loro nervi, nei tessuti animali dei loro impulsi nascosti. 
Per me la vera bellezza in un'attrice sta tutta qui. Adele parla poco, o meglio, i concetti che esprime spesso sono confusi, disordinati, arruffati come i suoi fantastici capelli che non stanno mai fermi. La lotta con la sua testa, mentre li raccoglie in mille modi diversi, ti affascina e ti travolge. Sono i suoi occhi che dicono tutto: dalla paura al desiderio, dalla tenerezza alla disperazione di chi sa di aver perso tutto. L'amore può essere una lama affilata che ti consuma totalmente. Non ci fai più caso al fatto che siano due donne, l'amore non ha proprio confini. Quando la sua rappresentazione è totale tu che guardi, in virtù dell'empatia donata all'uomo, ami come il protagonista, ami lui o ami lei. Solo questa forza è la vera magia del cinema.

venerdì 7 novembre 2014

Mi piacciono i romanzi lunghi: Ken Follet, i giorni dell'eternità.

Se c'è una cosa che non mi piace è finire un libro. Non è che ne tragga un grande piacere. All'inizio della mia avventura di lettore sì, certo, magari è bello dire a tutti leggo 30 libri all'anno, 40, 50, 100. 
Ma poi? A cosa serve mangiare i libri? 
Io quando leggo sospendo la mia esistenza, e divento qualcosa d'altro. Un marinaio, un soldato, un imprenditore senza scrupoli, una donna in carriera, un detective, un attore, un fantasma, un musicista. e via così. Vivo avventure, vedo posti incredibili, le emozioni mi scavano dentro. La vita in sé, soprattutto alla soglia dei trentacinque anni, riserva tragiche sorprese, paura del futuro, chissà se mi sveglierò domani. La morte comincia ad annunciarsi nelle persone che ti stanno accanto, e i brutti pensieri si accavallano. 
La lettura blocca tutto, soprattutto quella lunga. Quando le pagine sono mille, milleduecento come nel caso dei Giorni dell'eternità, le storie sembrano non abbandonarti più. Non arriverà all'ultima pagina e un altro cliente mi darà del pirla, non arriverò all'ultima pagina e mi accorgerò che fa un freddo del diavolo fuori, che lo Stato ha in mente nuove tasse, che non so se l'economia mondiale mi assicurerà la speranza di una famiglia e un vero futuro. 
Nei romanzi di Follett, i personaggi diventano amici, le ambientazioni così familiari che ti sembra di guardare fuori dalla finestra quando apri un suo libro. 
I giorni dell'eternità è forse il romanzo meno riuscito di tutta la trilogia. La guerra fredda sembra raffreddare un po' lo stile, le vicende alle volte si trascinano senza un vero colpo di scena, stancamente. Ma l'ho amato comunque, perché nei suoi libri avverti lo scorrere del tempo, i bambini diventano adulti, diventano vecchi, e alla fine muoiono. Ti sanno accompagnare, con la loro fiducia nel futuro, con la voglia di combattere ogni destino.

mercoledì 22 ottobre 2014

Il giovane Favoloso. Elio Germano e Massimo Troisi.


L'immagine che porto sempre nel cuore è lo scrittore che con il suo calamaio cerca la luce accanto a una finestra. Incurante del mondo, di chi lo leggerà, di chi lo deriderà, di chi non saprà trovargli il cuore. 
Questo film è un film sulla poesia. Devo fare un salto nel tempo per ritrovare dentro di me un'emozione simile a quella che ho provato guardando Il giovane favoloso. Esattamente venti anna fa Troisi concludeva la sua opera più grande. Come si fa a fare un film su un tema così evanescente come la poesia? Metterla in immagini, descriverla con un piano sequenza, trasformarla in "fuoco elettrico". E' possibile. I lunghi silenzi di Troisi, la sua meraviglia nello scoprire la magia delle parole fanno eco mentre guardo Elio Germano sospendersi dalla realtà tuffandosi nei versi di Leopardi. Martone non ha paura di dare spazio alla poesia: Germano le recita con una maestra tale da annullarci nella potenza di ogni verso. Siamo lì a gustare sulla nostra pelle la forza di un poeta che non ha voluto arrendersi alla indifferenza della Natura. Leopardi urla la presenza dell'uomo su tutto il creato, incapace di credersi un prodotto casuale e non previsto in un disegno assurdo. 
E anche se nell'ultima scena la ginestra, aggrappata ai resti di un'umanità che si crede magnifica e progressiva, dovrà arrendersi alla Possanza di nostra Madre Natura, Leopardi non può fare a meno di scovare la bellezza che ci viene regalata ogni giorno nei nostri occhi. Una bellezza che fa della vita un'avventura che nessuno può rinunciare a percorrere, costi quel che costi, fino all'ultimo respiro disperato. 

lunedì 29 settembre 2014

Italy in a Day e Sacro Gra: Salvatores vs Francesco Rosi.

Premetto che ho trovato interessanti entrambi gli esperimenti, ma Sacro Gra è un'altra storia. Anzi, grazie a Italy in a Day, sono riuscito ad apprezzare molto di più il primo. 
Rosi non si impone nelle storie dei personaggi perchè Sacro Gra si pone nel mezzo delle storie. Fotografa l'esistenza di figure marginali, consapevoli e rassegnati alla loro marginalità. In Italy in a Day l'idea di chiedere agli italiani di fotografare le loro vite a mio parere non funziona pienamente. Se in Sacro Gra i protagonisti vivono, in Italy in a Day la miriade di persone che popolano questo film non fanno altre che posare. Salvatores cerca disperatamente di far parlare tutti, ma non fa dire niente a nessuno. Rosi sceglie poche vite, ma sono vite che fanno un incredibile rumore, con la loro originale quotidianità, con quei silenzi infiniti, sgrammaticati e commoventi. L'infermiere che fa bene il suo lavoro e non chiede altro, due trans avvinghiati a un pasto frugale che considerano un pranzo Luculiano. Il figurante di un fotoromanzo che ha sognato invano tutta la vita un ruolo da protagonista. E la storia più bella: un uomo anziano che vive in un monolocale in un palazzina enorme con la figlia che ama alla follia.
In Italy in a Day sono pochissime le storie che ti rimangono, Salvatores è preoccupato di occupare uno spazio televisivo importante: una prima serata in Rai. Allora le immagini si susseguono furiose, i monologhi sono spesso ridondanti e banali. 
Io la penso così. 
Amo sempre i documentari però.

venerdì 12 settembre 2014

Il più bel finale nella storia della letteratura : le avventure di Gordon Pym

È chiaro che mi piace provocare. Non sono certo un esperto di letteratura, nè tantomeno uno scrittore ahimè quotato. Se penso a cosa fanno le riviste digitali, tante pagine facebook e post assurdi pur di farsi cliccare, mostrando supertette e annunciando morti fittizie, e clamorosi scoop di cronaca nera. Dichiarare un finale il migliore nella storia della letteratura è forse solo un gioco innocente.
Le avventure di Gordon Pym è un romanzo diverso dal genere marittimo. Premetto che non sopporto i romanzi sulle navi, non ci capisco mai niente, e a malapena mi barcameno fra poppa e prua. Eppure questo romanzo parla di avventure marittime come pretesto per parlare di altro. Nella pagine di Poe vive da sempre il gusto per l'effetto allegorico. Quello che conta di più, al di là della vicenda, è la forza iconografica delle immagini, vere allegorie delle nostre pulsioni, dei nostri incubi, e dei nostri desideri che non sappiamo dichiarare a noi stessi. L'antro buio della nave dove il protagonista della nave si nasconde, la lotta che si scatena fra i componenti della nave, come un ammutinamento brutale, il cannibalismo estremo, le forze terribili della natura, fra uragani e tempeste, l'isola che nasconde segreti, valli labirintiche.
Ma è il finale che ti lascia di sasso, un finale che è emblema del destino ultimo dell'uomo. Sperduto in mezzo all'Oceano su una canoa che viaggia alla deriva, il protagonista comincia a vedere della cenere bianca posarsi dappertutto nel vasto orizzonte, e alla fine, si apre una specie di voragine, un abisso, da cui emerge una figura, quasi un volto di uomo, e ...
Basta. Il romanzo finisce così, perché il diario si interrompe, è l'ultima immagine che si dipana nella nostra mente, come l'ultimo traguardo che ci attende, chissà cosa vuol dire non essere più niente, essere un computer spento, un oggetto, senza volontà, ed è bello pensarlo così, come un ultimo incredibile terribile inimmaginabile clamoroso spettacolo, per avere il tempo giusto di dire addio.

La tenebra era notevolmente aumentata, mitigata solo dalla fosforescenza dell'acqua, su cui si rifletteva la bianca cortina spiegata davanti a noi. 
Ma noi già precipitavamo nell'amplesso della cataratta, dove si spalancò un abisso, pronto a riceverci. Ed ecco scorgere sulla nostra rotta un'ammantata figura umana, di proporzioni ben più vaste di qualunque abitante della terra, E la pelle di questa figura aveva il colore delle nevi immacolate.

domenica 31 agosto 2014

L'armata dei sonnambuli: il romanzo dell'estate.

Lo volevo leggere un romanzo così. In estate hai tempo da dedicare totalmente a una storia che ti porti via, personaggi mordaci, simpatici e comici, nobili, contronobili, paesani. Irruenza e reverenza. Intelligenza e demenza. Magia e realismo. Intimismo e oggettivismo. 
Insomma L'armata dei sonnambuli è il romanzo dell'estate. Ero un po' restio ad acquistarlo, forse per il luogo comune secondo cui un buon romanzo non può uscire dalla penna di più persone. Eppure è un romanzo che davvero ti conquista. 
Innanzitutto è capace di trasporti in là nel tempo, non solo accompagnando i singoli personaggi della storia, ma facendoti volare sulla voce del popolo. Wu ming impasta il linguaggio, lo lavora, lo trasforma, ideando neologismi e suoni che ti trascinano nell'immaginario della gente comune, nelle melodie ancestrali dei loro dialetti e della cultura dei loro padri. 
Impareggiabile il personaggio dell'attore Lèo Moddonet, scanzonato, italianissimo, fiducioso nel suo talento che nessuno è capace di riconoscere. Insegue il teatro facendo della sua stessa vita un palcoscenico, del suo stesso nome un'opera d'arte. 
Il terrore della Rivoluzione Francese non fa mai da semplice sfondo, ma pulsa come inevitabile conseguenza dei rivolgimenti che l'uomo mette in atto nella Storia, rischiando la vita, e incontrando la morte per un'idea che antepone ad ogni cosa. Libertà e uguaglianza. Anche se i due valori difficilmente evolvono di pari passo, con un dialettica difficile ed ardua da attraversare. 

mercoledì 6 agosto 2014

Il grande romanzo americano: Underworld di Don de Lillo

Underworld è uno di quei romanzi che non hanno uno stato univoco. Come l acqua il libro muta attraversando ogni trasformazione fisica. Liquido, gassoso, solido. Il protagonista di Underworld non esiste, i personaggi si muovono in una trama che apparentemente sembra impantarsi in continui vicoli ciechi, accenni mai risolti e soluzioni solo apparenti.  Underworld è un romanzo difficile, che volutamente ti sfida e ti mette alla prova. Ti invoglia quasi a chiuderlo in certi momenti, ti viene voglia di dire basta subito nelle prime cinquanta pagine, concentrate esclusivamente su una partita di baseball. La voce però arriva, la storia si compone in un quadro che riesci a vedere nella sua grandezza solo da lontano, tanti puntini, tante macchie di colore, come il Muro di graffiti che compare ad un certo punto del romanzo. Perché alla fine credo che il vero protagonista del romanzo sia il tempo. Come un mostro sacro, che non decide una fase dell'esistenza migliore di un'altra. Perché noi non siamo il prodotto di quello che eravamo, ma siamo in continuo divenire, mutevoli e imprevedibili, coraggiosi per poi essere arrendevoli. È la nostra spazzatura il segno del nostro passaggio sulla terra, lì dentro il tempo paga la sua tassa al genere umano, costringendolo a non vedersi come una progressione perfetta e inarrestabile, ma come una specie che necessita costantemente una rimessa in discussione. Cosi i rifiuti sono un' altra componente essenziale del romanzo, una specie di drago wagneriano dietro al quale si cela il segreto per iniziare un nuovo domani.
Mi piace pensare che solo una frase racchiudail vero paradigma per decifrare questo enorme romanzo. Don de Lillo la mette lì, ed è una frase che un professore di scienze pronuncia durante una lezione sulle leggi della natura.
Abbiamo bisogno di numeri per dare senso al mondo. Pensiamo con i numeri. Pensiamo per decadi. Perchè abbiamo bisogno di principi organizzativi per diminuire la confusione

mercoledì 16 luglio 2014

Max Papeschi e la corazzata multinazionale

Sono ormai parecchi anni che mi sento particolarmente schiacciato dalle forze mass mediatiche di questo paese. Meglio del sistema mondo. Ogni evento, da quello sportivo, a quello cinematografico, a quello artistico, editoriale, radiofonico, ha sempre un padre che lo orienta, che lo dirige e lo produce: lo sponsor. Ogni giorno mi sveglio al mattino e non faccio nemmeno in tempo ad andare in bagno senza che qualche marchio non tenti di acciuffarmi. E accendi la radio, e accendi la TV, e guardi fuori dal finestrino in macchina, non esiste tregua. Da quando ascolto radio tre dove la pubblicità è praticamente assente, ho scoperto il silenzio commerciale, la pace pubblicitaria. La testa sembra funzionare meglio e credo che nessuno abbia ancora valutato la forza di questa forza, di questa vera e proprio violenza psichica a cui siamo sottoposti tutti i giorni, in nome del progresso umano e del benessere collettivo. È per questo che enorme effetto mi ha fatto la mostra di questo artista. Per me arte è la somma di gusto e reazione. Ad ogni azione dell'artista deve corrispondere una reazione, più questa è ampia e intensa maggiore è il risultato dell'opera. Max Papeschi mette in mostra Topolini e Paperini Disney vestiti con divise naziste e con la svastica proiettata ovunque, pupazzi di Mac Donald che ti accompagnano in un campo di concentramento, profumi famosi che hanno il nome dei più creunti campi di battaglia. C'è u senso inconscio che ti si scatena dentro, qualcosa di vero ed evidente in queste immagini, quasi una liberazione nel vedere finalmente un dito puntato.

domenica 6 luglio 2014

Il più bello sguardo d'amore: Marina Abramovic

Ho scoperto casualmente questa grande artista. Non dipinge quadri e non fa sculture. Si potrebbe dire che fa arte con il suo corpo, con la sua presenza, ma credo che la sua più grande opera d'arte si stata la sua vita. 

Negli anni 70 si chiude in una stanza, immobile. Accanto a lei c'è un tavolo con strumenti di tortura (coltelli eccetera) e di piacere (miele, unguenti, eccetera). Starà lì sei ore, ferma, pronta ad accettare qualsiasi cosa venga fatta del suo corpo, assumendosi ogni responsabilità. Dalle persone emergeranno i più bassi istinti: Marina Abramovic verrà tagliata in più punti del suo corpo, ma non muoverà un muscolo. Questa performance, magari se vogliamo indiscutibile, con il nome di Ritmo zero porterà Marina Abramovic ai vertici della sua carriera artistica. 
Ma dopo inizierà la sua grande collaborazione artistica con Ulai, un uomo di cui si innamorerà perdutamente. Sceglieranno di urlarsi uno contro l'altro monosillabi e vocali senza senso uno contro l'altro nella performance AAA-AAA. Si legheranno i capelli uno con l'altro per sedici ore. Nudi si posizioneranno agli stipiti di una porta costringendo i visitatori a passare attraverso di loro. Dopo molti anni Ulai prenderà un'altra strada e la loro grande storia d'amore finirà. Ma non si lasceranno in maniera normale. Decidono infatti di percorrere da due punti opposti l'intera muraglia cinese a piedi, uno contro l'altro, nella loro ultima performance artistica: The lovers. Quando si incontrano si dicono addio. 
Passano molti anni e Marina Abramovic è sempre più famosa, pochi anni fa al Moma di New York presenta l'ultima sua fatica artistica. Seduta su una sedia di fronte a un tavolo, con un bellissimo vestito rosso, osserva il visitatore, seduto all'altro capo del tavolo. La gente assiepata aspetta ore interminabili per osservare quello sguardo. Ma fra di loro c'è anche Ulai. Marina che fino ad allora non ha mosso un solo muscolo, osservando solo intensamente lo spettatore, non sa che sta per arrivare l'amore della sua vita. Così lui si siede e quando lei lo guarda gli occhi si riempiono di lacrime. 
Credo di aver capito una cosa da questa parabola artistica: c'è solo tutta una vita che può proclamare il vero amore della vita. L'amore è un po' come quando corri forte, intensamente, e pensi solo che devi respirare bene, che non puoi fermarti, senti la vita pulsare, ma non pensi troppo a quello che fai. E' solo dopo, dopo che hai attraversato un lungo viaggio, con il corpo in agitazione, quando ti rlassi e ti fermi e ti calmi. Solo allora lo avverti l'amore, lo sai eleggere pieno e inarrivabile come il centro della tua esistenza. 
Guardare per credere. 

https://www.youtube.com/watch?v=OS0Tg0IjCp4


lunedì 23 giugno 2014

Il teatro americano e la rosa tatuata.


Ho sempre avuto un debole per il teatro americano. Ricordo da ragazzino di aver assistito ad una rappresentazione di "uno sguardo dal ponte". Ancora oggi rimane il miglior spettacolo che abbia mai visto. C'era il grande Michele Placido, un'interpretazione magistrale. Da lì il passo a "Morte di un commesso viaggiatore" è stato rapidissimo. Ho sentito che una importante rivista americana (se non sbaglio il Times) ha stilato una classifica delle 100 commedie più importanti del 900. Al primo posto c'era Sei personaggi in cerca d'autore, il che mi trova d' accordissimo. Al secondo posto c'era proprio Morte di un commesso viaggiatore. Insieme ad Arthur Miller, Tennesse Williams è il grande autore del dramma americano. L'altro giorno ho voluto vedere la rosa tatuata, il bellissimo film con Anna Magnani e Burt Lancaster. 
Mi sono chiesto dove si nasconde tutto il fascino di questi drammoni americani. Il fatto è che proprio come in "uno sguardo dal ponte" la dinamica familiare viene totalmente esplorata. C'è sempre un personaggio che costruisce la sua vita su un'illusione, una convinzione, un credo incrollabile. Può essere il sogno di diventare qualcuno e di poter emergere se si costruisce la propria vita sul sacrificio, può essere l'amore su cui basare una intera esistenza: la fede in un uomo, una donna, la fede nella famiglia, nelle proprie radici, nella religione, nelle tradizioni. Non è un caso che l'emigrazione sia così importante. L'emigrato non comincia una nuova vita senza dimenticare la precedente, si porta appresso il suo bagaglio, le sue convinzioni e le sue certezze. Ad un certo punto tutto crolla. La spinta della modernità così spregiudicata e feroce fa a pezzi tutti, senza eccezioni. Sono martiri del proprio passato i personaggi di Arthur Miller e Tennesse Williams, martiri dei loro stessi sogni, dei propri amori, dei propri figli, di chi li ha generati e messi al mondo. Credere nel mondo e venire sbranati dallo stesso mondo in cui abbiamo creduto così tanto. E' lì che si consuma il dramma che tanto ci affascina. 

giovedì 12 giugno 2014

Il film più bello dell'anno: le meraviglie.


Credo che uno dei fotogrammi che mi resteranno impressi quest'anno sarà senza dubbio questo: una famiglia abbracciata, stessa su un grande sacco a pelo, nella terra di fronte alla propria casa. Abbracciata nel tentativo di trattenere un'innocenza e un credo che la società, con la sua dirompente macchina trasformatrice e divoratrice, non può più permettersi di accettare. Adoro i film essenziali, nello stile, nel linguaggio, nella forma. Le storie che funzionano ormai devono avere sempre alla base due ingredienti fondamentale: un mestiere perduto e un luogo suggestivo. Una famiglia di apicoltori cerca così di vivere "totalmente dentro alle cose". E' questa l'accusa che una psicologa tedesca muove alla fine del film. Perché non si può vivere più dentro alle proprie cose, ai gesti semplici, a un'attività innocua, a un mestiere bellissimo, senza venire per questo sradicati dal mondo come erbaccia malata? 

mercoledì 4 giugno 2014

Il male di crescere: le più belle pagine nella storia della letteratura.



Non si può liquidare "Lettera al padre" così, senza una citazione, un estratto. Quest'anno ho imparato un termine "superstizione parentale". Significa che non è vero che tutte le colpe debbano per forza ricadere sui padri. Significa insomma che c'è qualcos'altro a determinarci, che non si può convincersi di essere quello che si è per colpa di qualcun altro. Se non si è soddisfatti della propria vita bisogna cercare le ragioni in noi stessi. Allora eccola qui tutta la superstizione parentale. Tutte le colpe che buttiamo sui nostri genitori Kafka le scrive, come un vero amanuense dell'anima. 
Allora non mi sembra più di leggere di un padre vero, ma di leggervi una figura mitica, ancestrale, perduta nella memoria dell'esistenza dell'uomo. Il male di crescere nel nostro tempo ha qui il suo vero principio. 




In questo modo il mondo per me risultò diviso in tre parti: una in cui vivevo io, lo schiavo, sotto leggi che erano state escogitate soltanto per me e che inoltre, non sapevo perché, non ero mai in grado di rispettare completamente; poi un secondo mondo, infinitamente distante dal mio, in cui vivevi tu, impegnato a governare, impartire ordini e andare in collera se non erano eseguiti; e infine un terzo mondo, dove il resto degli uomini vivevano felici, liberi da ordini e obbedienza.

Quello che tu dovesti conquistare lottando, noi l’abbiamo ricevuto dalla tua mano, ma la battaglia per la vita di fuori, che tu potesti affrontare immediatamente e che naturalmente non è stata risparmiata neppure a noi, noi abbiamo dovuto combatterla solo più tardi, con una forza rimasta infantile in età matura

Di fronte a te avevo perduto ogni fiducia in me stesso e conseguito in cambio uno sconfinato senso di colpa. 

La mia decisione per una ragazza non significava niente per te. Tu hai sempre represso (inconsciamente) la mia forza decisionale e adesso credi (inconsciamente) di sapere quanto valesse.


Il pensiero che stava alla base dei due tentativi di matrimonio era del tutto corretto: mettere su casa, divenire autonomo. Un pensiero che a te è simpatico, solo che in realtà succede come in quel gioco in cui uno tiene stretta la mano di un altro, più forte che può, e gli grida: "Vai, vai, perché mai non vai?". E nel nostro caso tuttavia questo è stato complicato dal fatto che tu hai da sempre pronunciato sinceramente quel "Vai!", ma altrettanto da sempre, senza saperlo, mi hai trattenuto o più esattamente represso soltanto in virtù del tuo essere.

Ciò è rivelato dal fatto che, dal momento in cui decido di sposarmi, non riesco più a dormire, la testa mi arde notte e giorno, non vivo più, mi aggiro barcollando disperato. A dire il vero non sono le preoccupazioni a provocarmi questo stato, per quanto date la mia malinconia e la mia pedanteria esso sia accompagnato da innumerevoli preoccupazioni, ma queste non sono l'elemento decisivo, completano come vermi il lavoro sul cadavere, ma è altro a colpirmi in maniera decisiva. E la pressione generica dell'angoscia, della debolezza, del disprezzo per me stesso. 

E come se uno fosse prigioniero e non avesse più intenzione di fuggire, cosa forse possibile, ma soltanto, e a dire il vero contemporaneamente, l'intenzione di trasformare la propria prigione in un castello. Se fugge, però, non può più trasformarla, e se la trasforma non può fuggire.



giovedì 29 maggio 2014

Lettera al padre. Franz Kafka


Il primo autore che si è scontrato con la mia adolescenza è stato Franz Kafka. Il primissimo devo dire, fra la fine delle medie e l'inizio delle superiori. Il motivo fondamentale per cui questo autore viene amato così tanto dai giovani credo sia dovuto alla luce che proietta sul sentimento comune che ci travolge a quest'età. La colpa, il senso di colpa che ci attanaglia la carne quando cominciamo ad affacciarci al mondo. Si comincia ad allontanarsi dal nido, si sente il bisogno di altro, di un amore magari, o solo di una banale indipendenza, le serate con gli amici, la musica nelle cuffiette dentro la propria stanzetta, le pagine di un libro. Così si comincia ad esplorare il mondo e ad abbandonare il nucleo che ci ha visto nascere. Ciao papà, ciao mamma, io vado, io esco, io sto via una notte, io vado in vacanza all'estero, io vado vivere all'estero. E' impossibile non sentirla quella colpa, la pietra sul cuore, quando stiamo via tanto, quando abbandoniamo le attenzioni, la cura di un genitore. Diventa la colpa di vivere, il male che si esprime nel voler essere soli. Soprattutto quando il mondo con la sua forze è capace di stritolarci. Sta tutta lì la bellezza di Kafka, e per una volta, in questa lettera straziante, la vediamo in tutta la sua semplice essenza. Non più scarafaggi, o macchine infernali, processi senza spiegazioni o scimmie incomprese che fanno lezioni in un'accademia, castelli che promettono lavori ben pagati, cunicoli senza via d'uscita, niente sovrastrutture ma la nuda verità familiare. La colpa dei padri è la stessa colpa dei figli. E' difficile crescere, rispettare le nostre origini, senza fare del male. 

lunedì 19 maggio 2014

Il cardellino.

Dopo questo lungo silenzio cerco di riprendere in mano le cose di sempre. Forse non bisognerebbe mai parlare della propria vita, ma questo romanzo si è incrociato così tanto con l'esperienza che ho vissuto, che è molto difficile non parlarne. La perdita della madre è un salto nel buio. Le emozioni che credevi di dominare ti stritolano e pensieri che non immaginavi di pensare assediano la tua mente fino a farti desiderare il non narrabile. Leggendo questa vita inventata e vivendone una reale, questo romanzi riporta in luce il potere perduto della letteratura. Non per forza quello di intrattenere, nemmeno quello di dare un significato alle nostre vite. La letteratura è l'ultimo rito che Dio ha concesso all'uomo per far pace con i suoi fantasmi. Assecondarli, comprenderli, guidarli a nuove mete. Il cardellino è l'eternità chiusa in un quadro. Quel l'illusione di durare e di essere spettatori invincibili, fino a quando la fine non ci sfiora, toccando chi credevamo essere per sempre. Manipolando la sintassi in tutte la sua multiformi possibilità l'autrice ci accompagna in una girandola di esperienze, toccando tutti i generi, dal romanzo di formazione, al thriller, al misticismo romantico, al racconto d'amore. Perché la vera letteratura non può avere genere. I fantasmi non hanno genere.

sabato 19 aprile 2014

Pinocchio della compagnia La Traccia.

Uno dei miei tanti amori è stato sicuramente il teatro. Ero un ragazzo del liceo quando ho scoperto la danza della parola con il corpo. Essere un altro, vivere emozioni che solitamente la vita non può regalarci. Ho affrontato lo stesso personaggio che mi è capitato di incontrare qualche giorno fa. Pinocchio. Erano ragazzi di un liceo proprio come lo ero io. Pinocchio è la forza nascente, l'origine che sprigiona energia senza limiti, senza barriere esterne. Si nasce e si fa quel che se ne ha voglia. La natura che non conosce costrizioni, libera dalle architetture morali. Non si può credere che fare solo il proprio bene ad un certo punto non si scontri con il bene degli altri. È per quello che questo personaggio piace tanto a teatro, soprattutto a questa età. È il bambino che dobbiamo rispettare ma anche contenere. Si cresce e lo accarezziamo con affetto, vive dentro di noi sempre, ma ad un certo punto, arriva il momento in cui dobbiamo mettere davanti a noi stessi il bene degli altri.  Bellissima questa rappresentazione. Incredibile la prova del protagonista. Certe persone sanno comunicare su un palco le emozioni che non riusciamo a far emergere dal fondale oscuro del nostro mondo interiore. È questa la grandezza di un attore. Farci dimenticare del nostro corpo e perrmettere così una vita nuova, per tornare ad abitare noi stessi più preparati e consapevoli.

domenica 13 aprile 2014

Tristano e Isotta: il più bel finale d'opera.

"Fra l'amore e la musica c'è questa differenza: l'amore non può dare l'idea della musica, la musica può dare l'idea dell'amore" Ho ascoltato questa citazione qualche giorno fa. E' una frase di Hector Berlioz, e per quanto la si possa contestare in ogni modo, l'ho trovata molto vera. La musica può diventare l'unica alternativa ideale all'amore, perchè è in lei che avvertiamo l'assoluto e totale equilibrio mistico fra una spinta ideale e la sua vera realizzazione. 
Da un anno ho iniziato con passione ad ascoltare Wagner, e dopo altri post dedicati a questo autore non riesco a non parlarne ancora. Mi è venuta in mente questa frase di Berlioz ascoltando il finale del Tristano e Isotta. Nella parabola musicale di Wagner l'autore rifiuta la forma operistica classica: niente arie, niente duetti, terzetti, cori ... nessuno sfoggio di abilità canore e facile occhiolino alle esigenze di scena. La musica è un tessuto sinfonico e narrativo che non si può interrompere. Le voci asservite all'orchestra e alle emozioni che le pervadono. Forse questo è uno dei pochi momenti in cui l'idea dell'Aria, entra nella pagine di Wagner. Una melodia divina. Non umana, non terrestre, non presente. Sembra eterna, c'era prima e ci sarà dopo. Wagner ce la regala solo alla fine, nella sua totale potenza. L'avvertiamo in altri punti dell'opera ma solo qui esplode in tutta la sua forza regale. E' l'equilibrio che sentiamo quando siamo uniti a un'altra persona. L'amore che è dissoluzione, un amore che se lo pensiamo rischiamo di sparire, dissolverci, perché tutta questa bellezza che la vita ci regala non è possibile sostenerla pienamente. Non si può amare così, in questo modo. Non si può amare fino a perdere la testa, fino a spogliarci della nostra identità perché non sopportiamo più di stare lontano dall'amore. Un volo che ci scioglie le ali, ci fa precipitare nell'oblio, e nella voglia di non essere. Amore e dolore. Desiderio di sparire abbracciati alla colonna portante del nostro amore. Eccola allora la musica. Solo lei può dare l'idea di questo amore infinito, solo lei forse sa arrivare a quelle vette sublimi che Wagner riesce a donarci in questa pagina. Un sogno da cui non ci si può più svegliare

https://www.youtube.com/watch?v=2D-hnjpivqg





martedì 8 aprile 2014

L'appassionata. La più bella sonata.


Quando oggi l'ho ascoltata, mi sono reso conto del motivo per cui mi incuriosiva così tanto da ragazzo. Quando sei un adolescente lo capisci di più Beethoven. La cassetta dov'era registrata l'Appassionata credo di averla consumata. Per molti questa sonata racchiude un po' tutto il pensiero di questo musicista. Forse il più grande, anche se fare classifiche non ha molto senso in questo ambito. Eppure Beethoven ha sempre avuto per me un fascino particolare. Si tratta del modo di concepire la musica, solo lui la vedeva in un modo così particolare. 
L'appassionata è la sonata delle forze di movimento. Quando l'ascolti percepisci come due vite si intreccino. La vita dedita alla serenità e all'equilibrio e quella votata alla passione che distrugge. I primi passaggi sono emblematici: un mare calmo, limpido e senza sorprese viene sconvolto da ondate improvvise, uragani che si scatenano per poi scomparire in un attimo. Crediamo di passare indenni l'esistenza per essere sorpresi da vortici infiniti. Beethoven è la ricerca spasmodica di un equilibrio, di un modo di pensare che ci preservi dall'autocollisione con noi stessi. Un'intera sinfonia è racchiusa nella pagine di questa sonata proclamata da due sole mani su una magica tastiera. Spinte irrefrenabili che si risolvono in una pausa, un sospiro, un velo di rugiada. Forse non può esserci equilibrio in una vita appassionata, ma probabilmente non può nemmeno sparire la pace in una vita dedita alle passioni. 

https://www.youtube.com/watch?v=0Ak_7tTxZrk

lunedì 7 aprile 2014

Mi sono fidanzato con Radio Tre

Lasciare una radio per un'altra è un po' come cominciare una nuova vita. Quasi lasciare la donna con cui hai condiviso anni importante per intraprendere una nuova avventura. Non dirò la radio che ascoltavo fino ad ora. Anche per rispetto nei confronti di chi mi ha tenuto compagnia così tanto tempo. Evidentemente però, è tempo di cambiamenti. Ho scoperto Radio tre per caso. Soprattutto perché ero stufo di ascoltare deejay che si autoproclamavano i migliori, i più interessanti, con le vite più imperdibili. I media sono sempre più autoreferenziali, terrorizzati forse di perdere il loro successo acquisito. Radio tre è tutto il contrario. Prima il contenuto, poi la voce. Capita che i conduttori si alternino. Pubblicità quasi inesistente. Concerti di un'ora, un'ora e mezza. Nessuna esigenza di ascolti.  Nessuna facezia del momento. Argomenti stupidi che le radio si rimbalzano in continuazione, qui manco vengono presi in considerazione. L'intelligenza dell'ascoltatore è considerata ai massimi livelli. Avevo bisogno che non mi si urlasse addosso, che la polemica facile, la battuta inutile, uscissero per sempre dalle onde radio. A fine giornata mi sento meglio, più ordinato, più in pace con me stesso. Provare per credere.

martedì 1 aprile 2014

Sussurri e grida. Il film sul dolore.

Certi film sono veri pugni allo stomaco. Non tanto per le immagini, le storie, il montaggio, i personaggi. Sono i film che non seguono l'ordine logico che conosciamo. Parlo di quei film dove il regista ci studia, ci previene, ci prende in giro, ci affascina e poi ci colpisce alla bocca dello stomaco. 
Sussurri e grida è una parabola sul dolore. Una parabola senza una vera morale, senza una vera lezione. Il cancro è una delle malattie più citate e abusate nel cinema. Per chi la vive tutti i giorni, in casa, diventa persino fastidioso, un vero abuso per chi sa di cosa stiamo parlando. E io un po' credo di saperlo. Eppure è una delle malattie che maggiormente interrogano l'uomo sul senso del dolore e della sofferenza. E' una malattia che non ha origine, non ha spiegazione, non ha una durata, e soprattutto non ha una cura. Tocca soffrire, portare la croce. Questa croce che la nostra cultura Cattolica ci ha consegnato costruendo un'idea per la quale tutta questa sofferenza sia necessaria, un viatico assoluto e impareggiabile per la vita eterna. 
Poi c'è la malattia dell'anima, la malattia dello spirito. Chi la vive non può vestire il dolore fisico. Non può attraversare le piaghe di Cristo. Può ammalarsi di qualcosa di più grave forse, più incurabile, più nocivo. Se lo spirito muore, se la speranza ci lascia, non resta più niente dentro di noi. Non ci sono gli occhi per vedere al di là di un corpo, al di là di quello che la nuda materia può da sola insegnarci. Rimane il nulla. Delle tre sorelle solo quella malata, solo chi porta la croce, conosce per assurdo la felicità. Solo da lei si irradia la speranza e la vita. 

sabato 22 marzo 2014

Il ruolo del padre. In una poesia.

Quante cose si rinfacciano ai padri. Questa settimana c'è stata la festa del papà, e come di solito avvengono queste cose, mi sono imbattuto per puro caso in una poesia di Rilke sul padre. Sto leggendo questa specie di saggio sul riscoprire il significato dell'anima. L'autore è uno psicologo, Hillman. 
Molto spesso mi capita di vedere persone che vedono l'arrivo di un figlio come l'appagamento ultimo della proprio vita. Certo, io non ce l'ho e non posso parlare. Ma quanti fuochi si spengono perchè ogni aspirazione si esaurisce nell'idea di mettere al mondo qualcuno. Ogni attenzione viene riservata esclusivamente a questa creatura. 
Hillman dice una cosa diversa. E' sbagliato rinfacciare ai padri l'assenza, perchè i padri hanno un ruolo diverso. I padri hanno bisogno del loro lavoro, delle loro passioni, dello sport, della vita sociale con il mondo esterno. I padri sono il ponte che lega i figli con l'altrove. Sono e devono essere fonti di ispirazione, porte aperte alla vita, invogliare alla crescita, a credere nei sogni. Qui entra in gioco questa poesia fantastica. Rilke l'aveva capito: un padre è essenziale soprattutto nel consegnare il mondo ai figli. Nessuno può donare la felicità a qualcuno. Solo i mezzi per raggiungerla. 

Talvolta un uomo si alza da tavola a cena
ed esce e cammina, e continua a camminare,
perché da qualche parte a oriente sa di una chiesa.
E i suoi figli pregano per lui, come se fosse morto.
E un altro uomo, che muore nella sua casa,
nella sua casa rimane, dentro il tavolo e il bicchiere,
sicché i suoi figli devono andarsene nel mondo 
lontano,
verso quella stessa chiesa, che il padre ha 
dimenticato.

mercoledì 19 marzo 2014

Il più grande romanzo del nuovo millennio si chiama Breaking Bad.



Raskolnikov, Gregor Samsa, Amleto, Lear, Edipo, Medea, Dorian Gray. Ulisse, Ettore, Orlando. Madame Bovary, D’Artagnan, Anna Karenina. Personaggi, personaggi senza tempo, al di là del tempo e che non smetteranno mai di dire a tutti noi chi è l’uomo. Ogni sfaccettatura, ogni cambio di direzione,  ogni imprevisto, ogni sorpresa.  Insieme a tutti questi io metto Walter White. Forse il più grande regalo che l’artista di questa serie televisiva ci ha regalato in questo nuovo millennio. Pura letteratura e un vero miracolo. Ho fatto le due e mezza di notte ieri per completare questa avventura ormai iniziata un paio di mesi fa. Ho letto un po’ di libri di psicologia, psicanalisi e neuroscienza in questi anni. Solo una cosa credo di aver compreso davvero. Per quanto gli scienziati e gli psicologi si affannino esisterà sempre un quid nell’animo dell’uomo che nessun calcolatore, per quanto potente, potrà mai misurare e afferrare. Ci provano sempre a chiuderla questa bella equazione: l’uomo è il prodotto di genetica, ambiente ed educazione. Purtroppo è un castello di carte destinato a crollare quando l’incredibile e insondabile bellezza della mente umana si affaccia ai nostri occhi. Solo l’arte, solo l’arte ci fa scoprire quel quid. Solo la musica, la letteratura, la pittura. Solo il cinema e il teatro. Le storie ci fanno smarrire. E una storia come questa ci lascia smarriti alle porte della nostra identità. Walter White è la parabola che ci fa sentire vivi, ci trascina nell’abisso delle nostre paure e dei nostri sogni. Quello che vorremmo essere ma che abbiamo paura di raggiungere. Walter White ci schiaccia con la sua cattiveria germogliata da una pianta sana. Dalla sua bontà che appare come luce in una palude di sangue. Ci fa provare l’amore e l’odio. Comprendiamo noi stessi negli occhi di questo attore incredibile. Breaking Bad è e sarà per sempre un’esperienza che non ci può lasciare. Non saremo più come prima, e l’indicibile smarrimento che attraversa la visione è un discendere nel nostro essere. Breaking Bad è un viaggio nell’anima. Il più grande romanzo del nuovo millennio si chiama Breaking Bad.

sabato 8 marzo 2014

La più bella descrizione di Dio

L'amore mistico è un amore che non ha uguali. Comincio a pensarlo. Chi lo prova è totalmente pieno, non ha vuoti, non ha appetiti che lo turbino, non soffre di privazioni, non desidera altro da quello che ha. 
L'amore mistico possiede da sempre un fascino che non mi so spiegare. Ho provato le stesse sensazioni che ho avuto leggendo il Paradiso di Dante. La montagna dalle sette balze di Thomas Merton è un libro incredibile, una storia di conversione capace di stupire e accarezzare qualunque coscienza: dal più credente al più scettico, dal più agnostico al più ateo. Quando l'uomo che crede così tanto descrive così bene l'amore per Dio, in noi qualcosa si muove. Non so cosa sia, ma si muove. E' una sensazione che non ha spiegazione. E' così, stai bene o per lo meno in te cresce quel desiderio profondo. Di sentire come lo sentono loro questo Dio che non puoi vedere. Alla fine di questo libro, Merton racconta la sua esperienza di frate Trappista e l'amore lo pervade: 

In un certo senso noi stiamo sempre viaggiando, viaggiando come se non sapessimo dove siamo diretti. In un altro senso siamo già arrivati. Non possiamo in questa vita giungere al perfetto possesso di Dio, e proprio per questo stiamo viaggiando, e nelle tenebre. Ma già Lo possediamo per mezzo della grazia, e quindi in questo senso siamo arrivati e dimoriamo nella luce. Ma ahimè quanto devo ancora camminare per trovare Te al Quale già sono giunto! Perché ora, o mio Dio, è a Te solo che posso parlare, perché nessun altro mi capirà. Non posso portare altri di questa terra sulla nube dove io vivo nella Tua luce, cioè nelle Tue tenebre, dove sono umiliato e sperduto. A nessuno posso spiegate l'angoscia che è la Tua gioia, la perdita che il possesso di Te, la distanza da tutte le cose che significa l'arrivo in Te, la morte che è la nascita in Te, perchè neppure io ne so nulla, so soltanto che vorrei tutto fosse finito, vorrei tutto fosse incominciato.
Tu hai contraddetto ogni cosa, Tu mi hai lasciato nella terra di nessuno. 


martedì 4 marzo 2014

Ancora Grande Bellezza


Sono proprio contento di questo Oscar. Quasi un anno fa, un poco meno, ho visto questo film al cinema e ho scritto la mia solita recensione. Ammetto che non pensavo che questo film sarebbe riuscito ad incassare l' Oscar, ma credo che Sorrentino se lo meriti. L'ho amato dal primo film, ma non posso esimermi dal dire una cosa a chi vorrà ascoltarmi. Sono rimasto abbastanza irritato dalle critiche dei giornalisti, dalla gente che non sapeva nulla di questo regista e che lo accusa di aver cavalcato degli stereotipi italiani.
Questo non è un film sula decadenza italiana. Le maschere che Sorrentino costruisce sono funzionali al registro che vuole trasmettere. In tutti i suoi film i protagonisti camminano sempre con profondo disincanto. Cercano di anestetizzarsi dal baratro come possono. Sono consapevoli della morte, della infelicità, della ingiustizia, della mancanza di amore, della incomprensione. Vivere è difficile, alle volte insopportabile. E' solo lo smarrimento di fronte alla bellezza del mondo che salva le persone. Solo quella grazia che Jeb Gambardella intravede negli occhi di una donna anziana votata alla povertà, permette a questi personaggi di redimersi, di trovare una speranza, una via di fede. Una fede laica certo, ma comunque potente.

venerdì 21 febbraio 2014

La più bella canzone di tutti i Festival di Sanremo


Sono tanti anni che non perdo un festival di SanRemo. E' una malattia così, non ci posso fare nulla. 
Giorni fa discutevo con mia sorella sull'evoluzione della musica italiana. E' un mio mio modo di vedere le cose, ma credo che certe canzoni non si scrivano più. Non ci sono canzoni che mi abbiano particolarmente colpito quest'anno, di certo non me ne ricorderò nessuna in futuro. Ma è così difficile ricordare una canzone. 
Che cosa avevano le canzoni italiane fra la fine degli anni ottanta e i primi del novanta? Erano canzoni italiane, punto. Canzoni davvero italiane. Lascio stare il mondo dei cantautori, intoccabile e sacro, parlo di alcune stelle che hanno calcato l'Ariston per poi eclissarsi nell'ultimo periodo. Non se ne scrivono più così: frasi semplici, storie chiare, emozioni vive. Voglio dire, non c'è più narrazione nelle canzoni di oggi. Frasi suggestive magari, versi complessi, immagini ricercate. Ma dietro? 
Mi piacevano le canzoni che raccontavano storie, con una radice romanzesca, piccoli racconti di vita. Una donna che racconta a una figlia di non fidarsi degli uomini che tanto non cambieranno mai, la voglia di partire per posti lontani con la donna della propria vita, la paura di amare perchè non ci si sente degni, e così via, così via. 
Alla fine quando discuto di queste cose, mi viene in mente sempre quella canzone. E' l'evidenza di come le canzoni erano una volta, parlavano a tutti, con poche parole. Dopo tanti anni il figlio chiede alla madre di ballare con lui come faceva una volta. Ancora una volta mamma, sciogli quei tuoi bei capelli e balla con me. 
Melensa? strappalacrime? Sdolcinata? 
Uno può pensare quello che vuole ma qui la melodia e le parole suonano. Vocali e consonanti che dicono qualcosa di preciso e che con la musica ti arrivano precise dentro. 

http://www.youtube.com/watch?v=kgo2ae-lw6o


lunedì 17 febbraio 2014

A proposito di Davis. E il cinema dei fratelli Cohen


I film dei fratelli Cohen hanno una loro magia. Così non mi sono sottratto nemmeno questa volta. 
Mi sono sempre piaciute le storie sui cantanti folk. In Italia l'unico autore che potrebbe ricordare questo genere di musica credo possa essere soltanto il compianto De Andrè. In questo film le storie delle canzoni diventano la materia con cui la vita stessa del cantante si costruisce. Storie di persone infelici, a cui la vita non regala nulla. 
Nei film dei fratelli Cohen la struttura si ripete sempre in maniera implacabile. Il protagonista pretende di cambiare la sua vita e realizzare i suoi sogni con ogni mezzo. In questo caso, il protagonista mette il suo sogno davanti a qualsiasi cosa, a qualsiasi responsabilità. Non ha una casa, un affetto, una famiglia, nessuno che lo ami davvero. Conta solo il suo desiderio. Nei film dei fratelli Cohen ci sono sempre quelli che mi piace chiamare "I guardiani". Personaggi che impediscono al protagonista di modificare, mutare la sua condizione. Personaggi grotteschi che ostacolano in ogni modo il cammino, gettando il personaggio nel totale fallimento. 
In questo film l'amore per la musica di questo protagonista e per le sue canzoni è assolutamente straziante. Vivere di un sogno non è sempre possibile, e io credo di saperne qualcosa. Una delle immagini che mi porterò appresso quest'anno credo sarà sicuramente questa: Davis che si trascina nella neve, senza un soldo, con la sua chiatarra a tracolla, con i piedi zuppi, nella tormenta. Su tutto lui stringe la sua chitarra. E anche quando deciderà di mollare, qualcosa dentro di lui, anche dopo l'ultimo colpo che la vita gli infligge, saprà preservarlo. Una certa serenità che la musica, al di là di ogni riconoscimento e denaro, gli sa offrire. Il potere infinito dei sogni

venerdì 14 febbraio 2014

L'esperienza di leggere. Francesco Petrarca e il suo lettore tipo.


Dopo essere stato in una delle mie librerie preferite, mi sono improvvisamente reso conto che la vita è troppo breve, e troppo lenta è la velocità con cui leggo i libri. 
Ci sono certe persone che i libri li mangiano, tutti a cercare libri scorrevoli che non danno problemi, che non impegnano troppo. Istant book. Come si fa a dare questo aggettivo a un libro? Cos'ha di istantaneo un libro. Per me nulla. 

Quando leggo fatico. Anzi pretendo di faticare. Pretendo di impegnarmi. Voglio che ogni frase abbia senso. Un senso talmente complesso da indurmi a riflettere. Qualcosa che mi induca non solo a leggere la carta stampata ma anche la carta dell'anima. Quella che ho dentro e che è la lettura più difficile da decriptare. Sono quelli i libri più belli, i libri che ci offrono il codice giusto per ingannare la macchina Enigma del nostro cuore. 

Oggi ascolto in radio uno scrittore che cita questo passo di Petrarca. Che meraviglia queste parole. Cè caro Francesco se fossi ancora vivo ti direi che è esattamente questa la mia esperienza di lettore. 

Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo, non alle nozze della figlia o alla notte con l’amante o alle insidie del nemico o al processo o alla casa o al podere o al tesoro; e almeno finché legge, voglio che sia con me. 

Se è è preoccupato dai suoi affari, differisca la lettura; quando si avvicinerà ad essa, getti lontano da sé il peso degli affari e la cura del patrimonio…

Non voglio che apprenda senza fatica ciò che senza fatica non ho scritto.

mercoledì 12 febbraio 2014

Una scelta di vita e libertà: La montagna dalle sette balze.


Mi sono immerso in questa lettura che da mesi mi richiamava. Come faccio di solito, mi piace scrivere le mie impressioni sui libri, non necessariamente dopo averli finiti. Alle volte mi pare che sia troppo tardi. Certe emozioni ti abitano mentre giri una pagina, mentre sei nella pagina. Ora sono quasi a metà. 
Un giorno mio padre accompagna mia madre a messa in un paese di montagna. C'è un'abbazia, o una cosa del genere. Il frate dal pulpito dice una frase, delle parole che colpiscono mio padre, e cita un libro. Mio padre a fine funziona corre dal frate gli chiede di ripetergli il nome del libro. Lo cerchiamo da tutte le parti e alla fine mia sorella lo trova. E' bello scegliere un libro in seguito a un percorso. Come se ti cadesse dall'alto. Non devi fare altro che prenderlo al volo. Dopo quasi tre anni mi sento pronto. La montagna delle sette balze racconta la storia di una conversione. Un viaggio esteriore che si trasforma in ogni pagina in viaggio interiore. Il protagonista sceglierà la vita monastica alla fine del suo tormentato percorso. Perché mi affascinano tanto le storie di conversione? Perchè la spiritualità si affaccia così tanto nelle mie giornate continuamente? Mi sembra ormai di non credere più in niente, in nessun Dio, e dopo aver letto Totem e Tabù di Freud ora mi sembra anche di capire da dove provenga il senso di colpa dell'essere umano. Eppure come i bambini che si avvicinano alle favole con occhi pieni di meraviglia la presenza di Dio in queste pagine ti accarezza continuamente. Una carezza che in certi momenti appare violenta, quando il peccato brucia nelle scelte del passato di quest'uomo. 
C'è una frase che ho scelto di citare, una frase geniale, la vera frase capace di contestare finalmente quell'adagio che tutti recitano quando si domanda cos'è la libertà. "La libertà significa fare qualsiasi cosa uno ne abbia voglia, senza fare del male agli altri". Ma mi chiedo: come si fa a misurare il limite? 

"Ma non è possibile vivere per il proprio piacere e il proprio comodo senza inevitabilmente ferire e danneggiare i sentimenti e gli interessi di coloro che ci stanno vicini. In realtà, qualunque siano gli ideali teoricamente possibili nell'ordine naturale, quasi tutti vivono più o meno per conto proprio, per gli interessi e i piacere propri e per quelli della propria famiglia o gruppo, e perciò si trovano continuamente in contrasto con le mire altrui e si urtano e si feriscono gli uni con gli altri, lo sappiano o meno."

sabato 8 febbraio 2014

Fare l'amore: la più bella descrizione nel cinema.


Bè di sesso non ho mai parlato nel mio blog. In un certo senso, non è che voglia parlarne nemmeno adesso. Ho rivisto ieri sera questo film. D'accordo non sarà il più bel film di Robin Williams, sarà fin troppo melenso e sdolcinato, certe scene sono di una banalità sconvolgente. Eppure, i film americani hanno sempre questo potere: non hanno paura di mettere mano ai luoghi comuni. Noi italiani vogliamo sempre per forza fare gli artisti. Figli di una grande tradizione letterale, artistica, umanistica, non sappiamo più usare le parole nel loro significato originario. Parlare alla gente che ha altro da fare magari, troppo stanca dalla fatica del proprio lavoro per immergersi in film complessi e cervellotici. Ascolto tanta gente descrivere altra gente con appellativi come: la gente è ignorante, la gente non capisce niente, la gente è attirata dalle solite cose. 
Il fatto è che non tutti hanno avuto la possibilità di studiare, non tutti hanno avuto la fortuna di conoscere Dante e Petrarca. Molti fanno un lavoro duro e non hanno gli strumenti per arrivare troppo al di là. Si può anche parlare con parole semplici, usare mezzi comuni, cliché già collaudati per descrivere la bellezza del mondo. Perchè no? 
L'uomo bicentenario è la parabola di un robot che vuole diventare uomo. Attraversa ogni stadio della progressione da macchina a uomo. Prima un volto, poi le emozioni, infine gli istinti. In questa scena al robot manca l'ultimo tassello: provare l'amore. L'amore completo, totale. Quello che richiede la mente e il corpo. Il tutt'uno con un altro essere. L'amplesso che unisce l'esperienza di nascita e morte. Quella forza che ci fa tornare indietro e avanti nel tempo. Il prima e il dopo. Fare l'amore. Ecco come la descrive, e quando la senti capisci che fortuna immensa può essere provare un'esperienza come la vita. 

http://www.youtube.com/watch?v=pU4UxEei7xU

lunedì 3 febbraio 2014

Saper trovare le parole giuste: i segreti di Osage County

Perchè mi piacciono tanto certi film? 
Forse con questo film l'ho capito. Tu entri in sala e non pensi a niente. O meglio, pensi tanto e convulsamente, ma non riesci mai a mettere ordine nei tuoi pensieri. Hai un groviglio di sensazione che non puoi chiarire. Alle volte pensare troppo e non pensare a niente sono stati che possono coincidere. Hai bisogno di sistemare le cose. Sono le parole che ci mancano tante volte. Quello che vorrei dire a un amico, a mia madre, a mio padre, al mio capo. Non troviamo le parole, non le troviamo maledizione, per quanto ci accapigliamo con noi stessi non ne siamo capaci. Siamo in balia di silenzi e di uno sgradevole "ehm", "voglio dire", "non lo so", "non so che dirti". 
Certi film sputano fuori tutte quelle cose che non sappiamo strapparci da dentro. I segreti di Osage Couty è un film così: un film dove le persone dicono quello che vorremmo saper dire nei momenti più difficili. Solo certi film americani ne sono capaci: non hanno paura di sembrare inverosimili. Certo, diciamolo, certi monologhi strappalacrime, certe espressioni, certe sceneggiate. Sono parole che non diremmo mai nella vita vera perché la società ci ha insegnato a costipare le emozioni per non sembrare patetici. Eppure in certi istanti ne avremmo davvero bisogno. Amo sentire così tante parole, amo vedere sullo schermo usarne in quantità industriale. Quei volti che esplodono di rabbia e dolore. 
Poi le luci si accendono e torno alla mia vita ordinata. 

sabato 25 gennaio 2014

Breaking Bad e Sigmund Freud

E' interessante vedere come certe cose che facciamo si colleghino misteriosamente. 
Sto finendo di leggere Totem e Tabù di Freud e contemporaneamente ho iniziato a vedere la serie televisiva superosannata da tutti: Breaking Bad. Bisogna dire che viene osannata totalmente a ragione. 
Qual è il confine? si chiede Walter White. Qual è il confine fra bene e male? Fra ciò che è giusto e ciò che consideriamo sbagliato? 
S. Freud in questa disanima lucida ci prova a dare un' opinione. Cerca di farsi strada fra bene e male un po' come fa Walter White nel palcoscenico della realtà. L'uomo era in origine dominato dall'istinto: pulsioni che non poteva fare altro che assecondare. Solo il più forte forse, il maschio dominante l'aveva vinta sul resto della popolazione. Poi arrivano i Totem. La prima assoluta forma di religione che nella storia dell'umanità imbriglia la rabbia animale dell'essere umano in leggi precise. L'uomo capisce che non può esserci progresso, senza porre dei limiti all'istinto. A quello che oggi forse chiamiamo male. La specie ne giova se poniamo delle leggi. Ma dei divieti non bastano e allora nascono i demoni. Proiezioni della parte animale che l'uomo getta all'esterno. Se fai questo, se fai quell'altro, allora un demone cattivo ti stritolerà in eterno. 
Walter White sperimenta la progressiva liberazione dei lacci morali che gli impediscono di vivere. Frustrato da ogni genere di vessazione, privato della speranza, cambia le regole del gioco, decidendo che ciò che fin un attimo prima era male può diventare forse non bene, ma magari l'unica strada possibile. 
Ora uno si chiede dove bisogna cercare il male? Cos'è il male se non quello che nascondiamo dentro di noi?

domenica 19 gennaio 2014

Tutto sommato qualcosa mi ricordo. Gigi Proietti


Gigi Proietti è un attore che ha accompagnato la mia adolescenza. E' sempre stata una figura di padre un po' sui generis che mi ha sempre affascinato moltissimo. In televisione ho visto tutti i suoi sceneggiati: "un figlio a metà", "Italian Restaurant" e ovviamente "Il maresciallo Rocca".  Un regalo che ho molto apprezzato questo Natale è stata la sua biografia: "Tutto sommato qualcosa mi ricordo". Gigi Proietti racconta la sua vita approfittando di questa opportunità per porre una lente importante sulla vita dell'attore. Una vera e propria lezione di teatro che dimostra tutto il suo amore per questa forma d'arte così poco considerata nell'epoca in cui viviamo. Proietti è stato uno dei pochi attori capace di rielaborare la sua lunga  esperienza di teatro sperimentale, allo scopo di inventare nuovi strumenti capaci di avvicinare il pubblico a un nuovo linguaggio. Proietti abbandona la torre di avorio degli attori contrapposti al teatro tradizionale per amalgamare le due scuole e costruire un nuovo teatro. Quello più vicino alla gente. 
Al liceo mi sono innamorato del teatro sperimentale, una vera passione: il linguaggio del corpo, l'uso della voce libera dai vincoli della dizione e del significato proprio delle parole, la libertà del montaggio, la costruzione dei personaggi. 
Bisognerebbe rivederlo il suo spettacolo: "A me gli occhi please". Credo che insieme al "Mistero Buffo" di Fo, Gigi Proietti abbia meritato un posto di primo piano nella storia della nostra cultura. Nel vederlo oggi la sua forza rimane intatta. 
Gigi Proietti è una brava persona, mai polemica, mai in contrasto, un soldato al servizio della sua passione e del suo amore verso un modo di concepire l'arte. Una concezione aperta al nuovo e pronta ad avvicinare i giovani a questo difficile mestiere. Una bellissima biografia. 

giovedì 16 gennaio 2014

Il più bel film sulle donne: Tutto su mia madre.


Ecco un altro film sepolto nella mia mente. Che bello rivedere i film che hanno significato tanto, diversi anni dopo. 
Se dovessi scegliere un regista capace di descrivere le donne meglio di chiunque altro sceglierei sicuramente Almodòvar. Questo è un film dove è quasi impossibile non piangere. Non tanto per quello che succede, perché elencare una serie di disgrazie che accadono a un protagonista non basta per colpire l'animo dello spettatore. Sono le reazioni dei personaggi alle difficoltà della vita a impressionare. E' quello che divide un capolavoro da un film di genere. 
La protagonista di Tutto su mia madre è una donna che non va mai oltre i problemi degli altri. Non si scoraggia, e ha il coraggio di reinventarsi. Non lascia nulla di intentato per ricomporre i pezzi della sua identità. Colpita dalla morte del figlio si mette alla ricerca del padre, compiendo un viaggio che la porterà a costruire un'altra se stessa. Manuela come ho già detto è una donna che non va mai oltre. Incontrerà persone con paure, problemi, drammi. Donne ingannate dal mondo le cui sofferenze la protagonista carica su di sè pur rappresentando un estranea. E' impossibile girare la testa da un'altra parte quando la storia di qualcun altro diventa la tua storia. Farsene carico lo richiede la nostra natura di essere umani, ma quasi mai è facile. Io stesso mi dichiaro uno di quelli che cerca di chiudere gli occhi per non farsi troppo coinvolgere. Le donne hanno un altro coraggio, c'è poco da fare. Questa è la canzone del film, quando parte la musica, mi sembra di vederlo il coraggio della protagonista, incurante del male del mondo, prosegue dritta, senza intoppi o stupidi ripensamenti. 

http://www.youtube.com/watch?v=BEZuEalqbD4

mercoledì 15 gennaio 2014

Cloud Atlas

Ho scritto praticamente un post per ognuno dei film di fantascienza che ho visto. Non posso esimermi dal farlo anche questa volta. Cloud Atlas è un film di proiezioni multitemporali. Storie che c'entrano con la fantascienza solo fino a un certo punto. 
Nel mondo ogni tanto ci pare che non sia possibile fare niente. A quanti succede? penso a chiunque. Non posso diventare primario, non posso diventare notaio. I politici continueranno a fare i loro interessi. I ricchi continueranno ad arricchirsi. La terra continuerà ad essere maltrattata. Dalla crisi non usciremo mai. Siamo in troppi, siamo destinati a collassare. Ordini precostituiti contro i quali pare nulla sia possibile. 
Sei storie alternate in epoche diverse, con i personaggi che si ripetono in ipotetiche vite reincarnate. I buoni e i cattivi. Pare che nulla sia possibile, eppure ci sarà sempre qualcuno disposto ad andare contro. Ci sono forze che dicono no. E non possono essere spente da nessuna autorità precostituita. Non si tratta di rabbia, di contestazione, di violenza. C'entra più con la speranza. 

lunedì 13 gennaio 2014

La verità sul caso Harry Quebert.

Dopo qualche settimana ho finito questo giallo mozzafiato. Mozzafiato perché il fiato te lo mozza sul serio. Non si capisce mai cosa succede, i colpi di scena si moltiplicano continuamente, il colpevole potrebbe essere chiunque. L'autore conosce tutti gli ingredienti del giallo, ma, come i grandi giallisti, riesce a reinventarlo. E' un autore giovanissimo, già incensato dal mondo come caso editoriale dell'anno. Vorrei ricordare che ha cinque anni meno di me. E' dell'85 e io, ahimè, sono dell'80. Comunque voglio provare a riassumente i punti forti di questo romanzo, cercando di rubare un po' dello stile dell'autore, così essenziale e fulminante: 
1) Questo romanzo ricorda un po' altri due romanzi: Uomini che odiano le donne e il Cane di Terracotta. Due romanzi che lavorano nel passato, l'omicidio non avviene nell'oggi, ma il caso si perde nel passato, e nessuno fino ad ora è stato capace di risolverlo. Ci piace riannodare i fili del passato, un mistero passato è ancora più difficile da sbrogliare e l'autore ci si tuffa come un sommozzatore esperto. 
2) Questo romanzo non è solo un giallo. E' anche un romanzo sui libri, sul mestiere di scrivere. Pur esagerando sui concetti di fama, denaro, successo, associati alla vita di scrittore, gli aspetti legati alla bellezza dello scrivere sono i più riusciti. Scrivere è un atto che sa suscitare grandi emozioni in chiunque. E' una dimensione che affascina e che affascinerà sempre, ma è anche una fatica, un lavoro, un'esposizione ai flussi della realtà che richiede attenzione e forza d'animo. Bisogna essere convinti, non perdersi, perché si arriva a un punto in cui uno si chiede cosa sto facendo, sto facendo pena. Faulkner diceva che chi scrive deve sentire sulla carta il rischio del fallimento. E' questo il coraggio che ci vuole per arrivare all'ultima pagina. 
3) Questo romanzo è anche un romanzo d'amore. Quegli amori impossibili che tutti sono solo capaci di violare con le loro convinzioni e falsi moralismi. Ci sono regole che l'amore sa demolire, che la ragione non riesce a rispettare. L'amore abolisce quei limiti che vogliamo imporci, e una cosa che sembra assurda diventa comprensibile se sappiamo entrare con rispetto nelle storie degli altri. 
4) Questo romanzo va a tempo di musica. L'autore non si parla mai addosso, ma dà totale precedenza alla storia. Non ci sono tempi in cui la scrittura si annoda su stessa, tutto è sacrificato ai tempi della rappresentazione. I dialoghi serrati, le descrizioni limitate ma precise, gli avvenimenti esposti con cura ma mai allungati nel brodo. Dicker dice tanto ma quel tanto è detto con le parole necessarie, non una di più. Tanto che alla fine di questo labirinto infinito un po' ci dispiace arrivare alla fine. Come si dice nel romanzo "Un bel libro è un libro che dispiace aver finito". 

lunedì 6 gennaio 2014

Puccini è la musica degli innamorati.


Qualche giorno fa ho rivisto il film di Barbara Streisand "L'amore ha due facce". Non so quante volte l'ho visto. So solo che tempo fa l'ho citato fra le 5 scene d'amore più belle nella storia del cinema. Lo so, non è fra i suoi migliori, molti diranno, eppure io adoro quel film, non ci posso proprio fare niente. 
Ad un certo punto la Streisand, che è una professoressa di filosofia, fa tutta una disanima lunghissima sull'amore. Dice una cosa bellissima: 
"Quando ci innamoriamo sentiamo la musica di Puccini nella testa". 
E' sempre quello che ho pensato anche io. O meglio, lo pensavo, ma non trovavo le parole giuste per descriverlo. Non sono un musicologo, ho solo studiato violino per undici anni senza arrivare a nulla. Ho studiato canto lirico per due, abbandonandolo dopo aver compreso di non esservi poi così portato. Sono uno che appiccica delle sensazioni sulla carta per sentirsi vivo. Si scrive per cercare di trasformare le proprie esperienze, per elaborarle, illudendoci di lasciare un piccolo passaggio su questa terra. 
Amo la lirica, fin da bambino. Tutto qui. E dico quello che mi viene. 
Qualche giorno fa ho ascoltato il trittico di Puccini. Mi era sempre sfuggito, forse perché ero convinto stupidamente che appartenesse a un Puccini minore. Quanto mi sbagliavo. C'è sempre quel crescendo a un certo punto, come dire, forse c'entra qualcosa con il tempo dell'amore. Quando due innamorati si cantano il loro amore sapendo che la loro vita è giunta al termine, quel pregare qualcuno di acconsentire a un amore impossibile, quel cercare di ricongiungersi con l'oggetto del proprio sentimento contro ogni natura e contro ogni impedimento. L'uso continuo dei diminutivi nei libretti non è casuale, voglio dire, quando i personaggi delle sue opere esprimono il loro amore, tornano bambini, tornano a quello stato irrazionale tipico delle persone innamorate, e la sua musica è l'unica capace di centrare in pieno quello stato di estasi. Il tempo si ferma, la musica rallenta, si arriva a un attimo che si dilata all'infinito. L'amore non ha prima e non ha dopo. Ed è un po' così nella musica di Puccini.

venerdì 3 gennaio 2014

Francesco Sole

Da qualche tempo mi sto fissando con i video di youtube. 
Quelli fatti da ragazzi molto più giovani di me. Quando sei un bambino pensi che puoi fare qualsiasi cosa: il calciatore, l'astronauta, il pilota, lo scrittore ... insomma potenzialmente sei qualsiasi cosa. 
Prima è stato il turno dei calciatori. Non che abbia mai nutrito la volontà di diventarlo ma, alla fine, i calciatori hanno cominciato ad avere la mia età, poi a diventare sempre più giovani. Ora sta diventando il turno degli scrittori, peccato che si tratti del mio sogno. Come un pazzo prendo i libri e nei risvolti di copertina leggo l'anno di nascita. Prima Paolo Giordano, poi Silvia Avallone, gente che ce l'ha fatta. Più giovani di me. Quando invecchi, anche i tuoi sogni cominciano ad invecchiare, a sbiadire. Cominci a non crederci più. Però io vado comunque avanti. 
Perchè questa premessa? La rete sta dando una possibilità un po' a tutti. E tanta gente è riuscita ad emergere anche grazie a questo canale, che una chance te la dà sempre. Mi piace molto questo nuovo personaggio, forse perché ha il mio stesso accento, e perché ha un modo scanzonato di muoversi, di presentarsi. Ha qualcosa di nuovo. Mi sono innamorato del video che ha fatto su Facebook, mi sono rivisto un sacco. Certo ho una grande invidia verso di lui: è bello, è già famoso, potrà scrivere libri, sedersi sulla poltrona di Fabio Fazio e vendere tanti libri. Però è bravo. E' divertente. Bisogna ammetterlo. Sulla rete si è scatenato un putiferio su questo personaggio, rabbia che trovo ingiustificata. Possiamo conoscere chiunque, ma conoscere è già un primo passo per tentare di emergere. Non basta essere bravi, ma bisogna sapersi vendere. Le conoscenze sono solo uno strumento come un altro. Le grandi aziende sfruttano le loro strategie di marketing sulle conoscenze dei loro manager. Quindi non ci vedo niente di male. Questo video può essere copiato da qualcun altro, da un video francese come tutti dicono, ma l'arte è reinvenzione, lo sanno tutti. "Siamo nani sulle spalle dei giganti" diceva qualcuno. Allora dovremmo andare da Tolkien e bacchettarlo per aver copiato la saga dei Nibelunghi di Wagner? 
Questo video è bellissimo. Provare per credere. Sarà che mi ci sono rivisto così tanto, nudo con tutte le mie illusioni. 
Un augurio a questo ragazzo e chissenefrega di tutte le critiche. Bravo a Francesco Sole.