sabato 26 dicembre 2015

Gli angeli non hanno memoria. 20.000 download in sei mesi. Più di 300 download in un giorno.


Il più bel regalo di Natale ieri è stato vedere il balzo di download del mio piccolo romanzo. Non so cosa sia successo, probabilmente il kindle quest'anno sarà uno dei regali più venduti. Eppure, il giorno di Natale, Gli angeli non hanno memoria è stato scaricato da più di 300 persone in tutta Italia. Non ci potevo credere. Non immaginavo che dopo sei mesi ci fosse ancora così tanto interesse per questo libro. Pagine che nascondono il momento più brutto della mia vita. Ormai lo so che vivo per scrivere, e sarà sempre così. Infatti, anche se mi sono imposto di non scrivere nulla fino a fine dell'anno, ho già cominciato il terzo romanzo. E' così. Scrivere è una malattia, un insana follia. E' un modo per fare pace con i propri fantasmi. Scrivere è una consolazione. Un modo per dare un senso a qualcosa, la vita, che proprio a volte sembra non avercelo. Scrivere è trovare pace, tornare a casa, accendere un fuoco in una casa che sarà sempre il tuo rifugio.

lunedì 7 dicembre 2015

Alle radici del male. Lo straniero. Albert Camus e il più grande romanzo del novecento.


La letteratura è un'altra cosa. Me ne accorgo sempre quando leggo un libro fondamentale nella storia dell'umanità. Si avverte un sapore alla bocca dello stomaco, la volontà di sviscerare ogni frase, di mandarle alla mente, di non perdere nessuna immagine. 
Mea culpa, ma non avevo mai letto questo libro. Ne avevo sentito parlare tantissimo, sia dello scrittore che del libro. Ogni volta passavo in libreria e mi dicevo, poi lo compro, prima o poi lo leggo. 
Camus penetra nella testa di un uomo che non si fa molte domande, e privo di empatia. Oggi diremmo, forse, privo di neuroni specchio. Non prova molto dolore per la morte della madre, e per lui tutto è uguale, amare e non amare, esserti amico o non esserlo, rimanere in casa ad osservare la vita da un terrazzo oppure viverla in prima persona. 
C'è solo un elemento che scardina le certezze del protagonista, che lo scuote, che lo disturba, che lo confonde. Sembra una cosa da nulla, ma non lo è. Perchè è sintomo di qualcosa d'altro, di più profondo, l'essenza di un'umanità che per quanto uno si sforzi di sopprimere viene alla luce prepotentemente in ognuno di noi. 
E' il caldo a mordergli la pelle, a farlo muovere, è il caldo asfissiante a fargli desiderare di tornarsene a casa durante il funerale di sua madre. La stessa insopportabile canicola, per assurdo, sarà alla base della decisione che distruggerà la sua vita: uccidere un uomo. Non è un caso che di fronte alla legge usi la temperatura troppo alta per giustificare un atto così tremendo. Camus ci fa entrare nel suo cervello e il caldo che avvertiamo non è solo un caldo fisico, quello che può segnalare un semplice termometro. Il protagonista del romanzo soffoca perchè non sa amare, non conosce questo sentimento, e per quanto tutto in lui sembri uguale, l'incapacità di vivere le emozioni che le persone gli mostrano, lo fa sentire uno straniero, un esule dal genere umano. 
Non si può accettare una vita preoccupandosi solo di se stessi, perchè la nostra umanità rigurgita dentro di noi, le cose si spezzano, e il male attecchisce. Camus taglia le frasi come un Michelangelo della parola, ci spiazza, ci distabilizza. Ma nonostante tutto ci fa comprendere come sia troppo semplice sempre lanciare giudizi, e questo romanzo forse è il più grande canto mai alzato dall'uomo contro la terribile soluzione della pena di morte.

lunedì 16 novembre 2015

Una piccola prova dell'esistenza di Dio. L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Oliver Sacks.


Questo è uno di quei libri che so mi rimarrà impresso per sempre. Come una moderna metarmofosi di Ovidio Oliver Sacks trattteggia i suoi pazienti come piccole parabole di diversità umana, tutte accumunate, comunque, dalla medesima tensione che porta ognuna di essere a volersi dichiarare un corpo, un'anima, un solo spirito.
Sono persone con assenze, mancanze, incapacità, traumi, e problematiche di ogni tipo.
Persone che non sanno parlare, non sanno muoversi, non sanno sentire, non sanno comprendere e nemmeno comunicare. A volte si tratta di eccessi, a volte di mancanze, a volte ancora di deficienze. 
L'uomo perduto nel suo passato che crede ancora di essere un marinaio della marina militare uscito dalla guerra mondiale, un uomo che non parla ma che disegna con un tratto magico, una donna rinchiusa nella testa di una bambina, ma che si rivolge al mondo usando la forza della poesia. 
Il marinaio perduto ritrova se stesso nella religione, nella preghiera... l'uomo epilettico trova la pace nell'arte ... la donna bambina diventa adulta nella poesia. 
Eccola la piccola prova dell'esistenza di Dio, o forse, per meglio di dire, della spiritualità diffusa nell'essere uomo: è l'arte, la religione, il teatro, la poesia. Nessuno è veramente perduto, perchè dentro di noi vive l'anima, qualcosa di più forte delle spiegazioni, più invincibile del riduzionismo scientifico. Una libellula leggera e indistruttibile, le cui ali sprigionano la luce primigenia dell'uomo, che con tutte le sue nefandezze ha dentro di sè, nel suo tratto, nella sua orma, nei suoi confini, l'innocenza di una bellezza che non possiamo cancellare da noi stessi. 

domenica 25 ottobre 2015

Anna. Niccolò Ammaniti sei sempre un grande.


Da sempre amo Ammaniti e la sua poetica. Per me rimane il più grande scrittore italiano. 
Quando ho iniziato Anna, una certa delusione aveva cominciato a stamparsi nel cuore. Ma era solo l'inizio. 
Ammaniti chiede un salto al lettore, uno sforzo. E' impossibile riconoscere il suo stile: una stuttura rapida e incalzante, verbi di moto, dialoghi serrati. Niente di tutto questo. Anna stravolge il linguaggio Ammanitiano per entrare in una dimensione nuova, un linguaggio visivo complesso, fatto di descrizioni apocalittiche, dove la natura invade lo spazio lasciato a se stesso dai grandi. In opposizione al mito della velocità l'autore inverte il passo della modernità e costruisce qualcosa di nuovo e sorprendente. Ci spiazza, perchè il mondo, popolato di bambini, senza madri e senza padri, diventa cupo, difficile, pronto a sbranare. La lezione Dostoevskiana (anche se l'uomo vivesse in un solo irst di spazio l'istinto di sopravvivenza sarebbe troppo forte per fargli decidere la morte) vive in ognuna di queste pagine. La vita non ci appartiene, ci attraversa. Noi, funzionari della specie, quale che sia la nostra forma con cui popoliamo il mondo: bambini o grandi, forti o deboli, sani o malati, predestinati o segnati, noi siamo pronti a tutto pur di mangiarci l'oggi e tuffarci nel domani. Perchè la speranza del domani è troppo forte, troppo grande la seduzione che si nasconde in ognuna delle albe che ci aspettano. 
In questo viaggio i due protagonisti: Anna e suo fratello vivranno tutti i sentimeni che i grandi devono scoprire crescendo: il dolore, la morte di una persona cara, la malattia, la fame, la povertà, il senso di vuoto, la solitudine, e l'incomprensibile contraddizione di questo disegno che è la vita. 
Da leggere come sempre. Grande Ammaniti.

sabato 10 ottobre 2015

Il potere del cane. Don Winslow

E' davvero moltissimo che non aggiorno. Dopo aver finito il mio libro ho preso una pausa lunghissima dalla scrittura. E' proprio come se non sentissi più quasi l'esigenza di scrivere. Una sensazione di non saper più cosa dire, cosa fare, di cosa parlare. 
Un vuoto che uno fa fatica a spiegarsi. Forse la fatica, il disincanto, il fondo del barile... 
non lo so alle volte è difficile trovare delle motivazioni. 
Però la cosa bella è che la gente sta continuando a scaricarlo, le persone mi scrivono, e gli angeli non hanno memoria viaggia verso gli 8.000 download.
Un altro motivo della mia assenza dal blog è dovuta alla lettura molto impegnativa di questo libro: il potere del cane. Quando leggi questi libri la riconosci subito la penna del maestro, del fuoriclasse. Era molto che volevo leggere Don Winslow, soprattutto perchè in un certo modo, si può dire che lui è un po' il padre di tante serie televisive di successo. Il genere "noir dei narcotrafficanti" affonda saldamente le sue radici nella scrittura di questo autore magistrale. Nella sua penna non c'è un solo stile: c'è quello rapido e svelto, fatto di periodi brevi, espressioni gergali, personaggi macchiettistici... ma c'è anche lo stile complesso, macchinoso e prolisso per spiegare macchinazioni politiche, per descrivire ambienti complessi .... e poi c'è l'introspezione psicologica, le parole che scavano il dilemma umano tra bene e male. 
E' proprio lì la radice da scovare. La narrativa oggi più che mai vive della confusione tra bene e male. Nella pagine di Don Winslow il bene e il male si confondono, si annodano. Nei due rivali: il detective Art Keller, e il narcotrafficante Adan Barrera, le due sfere macinano azioni e pensiere. Non esiste il bene assoluto e il male assoluto, ma il compromesso continuo, per fare il bene uno deve sporcarsi le male, e alle volte anche il male ha le sue regole, un codice da perseguire. Nella vita nasciamo con dei ruoli, e quelli si fa fatica a levarseli di dosso.

giovedì 3 settembre 2015

Gli angeli non hanno memoria. Più di 3000 download in meno di un mese.

Oggi è praticamente un mese che è uscito il mio libro. 
In meno di un mese ha avuto più di 3.000 download. Oggi apro amazon e lo trovo primo tra i bestseller gratuiti. Lo so è un libro gratuito, è un attimo perchè scenderà e io sarò di nuovo dimenticato. Però almeno, per una volta, una piccola soddisfazione ce l'ho. Forse merito solo della copertina, e come libro non sarà un granchè, Ma un piccolo mio spazio di infinito sta girando furiosamente da qualche parte. 
Sarà poco, sarà tanto. Non lo so. Per una volta mi andava di scrivere qualcosa di positivo. Dal fondo del barile. 

mercoledì 26 agosto 2015

La ragazza del treno.

Di tutti i libri che ho letto in questo periodo, su questo vale forse davvero la pena che mi soffermi. E' incredibile come la letteratura moderna stia tentando in tutti i modo di avvicinarsi al cinema. 
Frasi sempre più breve, salti temporali continui, montaggio serrato delle sequenze narrative quasi a voler imitare la costruzione cinematografica. Stiamo assistendo ad un annullamento completo dell'autore a favore dei personaggi, della loro mente, della loro visione soggettiva. 
La ragazza del treno è un libro basato sull'io narrante. Chi vede narra, anche parzialmente, istintivamente, irrazionalmente. Contano gli occhi, lo sguardo è solo negli occhi dei personaggi, vinti dalla stessa limitatezza del loro essere umani. E' proprio questa secondo me la chiave che ha permesso a questo libro di ottenere questo enorme successo.  Da sempre ripeto che a contare più di tutto, al di là di una storia che funzioni, è un linguaggio nuovo, davvero innovativo. Qualcosa capace di scardinare le nostre certezze onniscienti. Dalla verità sul caso Harry Quebert, a Cinquanta Sfumature di Grigio a la ragazza del treno. Cosa avvicina questi te libri? Il concetto della velocità, dell'immediatezza del linguaggio, sono avvicinati insomma dalla voglia di tuffarsi nelle connessione sinaptiche dei protagonisti. 
D'altro canto appare incredibile osservare come la televisione e il cinema stia tentando in tutti i modi di avvicinarsi al mondo della letteratura e del teatro. Basti su tutto pensare alla pluriosannata serie televisiva True Detective. 

giovedì 13 agosto 2015

Il fondo del barile. La forza della solitudine.

Ci sono momenti nella vita in cui ti tocca toccarlo il fondo del barile. Il corpo è schiacciato da una indicibile forza di gravità, che va al di là di quella studiata in fisica, la cui formula sono sicuro di averla studiata, anche se purtroppo non la ricordo più. 
Ogni volta è sempre peggio, e adesso sembra difficile essere in grado di risalire la china. 
Il problema vero, segno dei tempi, è che non sappiamo stare maledettamente bene da soli. Si sta sempre male, quando invece da lì dovrebbe sprigionarsi una forza capace di fagocitare qualsiasi cosa. 
Ogni volta che si cerca qualcuno a tutti i costi: un amore, un'amicizia, un lavoro, una soddisfazione, della gratitudine, si viene sempre inesorabilmente scossi e delusi. 
Quando non si viene ricambiati si sta male. Malissimo. Eppure anche in chi cerca si annida la violenza dell'egoismo, si pretende amore prima ancora di darlo. Lo si vorrebbe strappare, quasi succhiare, come sanguisughe esperte. Tutto perchè la solitudine ci violenta, quasi ci sovrasta. Eppure gli altri non dovrebbero essere un modo per stordirci, per non pensare alla finitezza della nostra vita. Sembra sempre che è importante uscire. "Non sei uscito?""Non hai fatto niente stasera?""Sei rimasto a casa, con questa bella giornata?"
Sì cazzo, me ne sto a casa, a guardare il trono di spade, a leggere un libro, a cucinarmi una bella pasta e patate solo per me come mi spiega Alessandro Borghese. Forse in quella beatitudine che non cerca, dentro di noi si crea il vuoto necessario perchè qualcun altro lo riempia. 
Belle parole, certo. Parole che dico a me per continuare a non disperare. Però sarebbe bello che fosse così.

giovedì 23 luglio 2015

Il secondo romanzo di Giovanni Pennati: Gli angeli non hanno memoria.

Così eccomi al secondo romanzo, da poco caricato su Amazon e presto su Ibooks.
Non si ferma mai la malattia di scrivere. Un vizio diffuso, ma non certo fra i più gravi.Mi fermerò mai? Chi può dirlo ... smetterò di sognare? Di essere un ragazzino che sogna di diventare scrittore? Permetterò a me stesso di diventare grande? 
Il cacciatore di canzoni mi ha fatto conoscere persone e posti che non immaginavo di poter incontrare: 
Roma, i provini per la televisione, parlare in radio con Fabio Volo, visitare la Biennale di Venezia, scoprire un mondo di autori non riconosciuti che desiderano farsi sentire. 
Scrivere è un sollievo per l'anima e quando qualcuno ti legge e si emoziona ... bè tutto l'oro del mondo non vale questa emozione. 


giovedì 9 luglio 2015

Signori e signore, ecco il terremoto della letteratura italiana: i Canti del Caos.

Dopo quasi due mesi questa enorme montagna è stata scalata. Ho visto la cima. Questo è l'Everest e la fossa delle Marianne. Il vertice e l'abisso della letteratura italiana. 
Ho sempre pensato che ci sia una sottile magia nel modo in cui i libri ci scelgono: esiste un nodo preciso che avvolge i libri ai propri lettori. I Canti del Caos è un libro che non si può consigliare certo a un amico, i Canti del Caos è un libro che bisogna scegliere di leggere. Una sfida che si può solo accogliere, senza pregiudizi, con mente aperta, anzi totalmente divaricata. 
Il momento in cui mi ci sono tuffato era perfetto, lo puoi affrontare solo in un periodo così: quando senti che niente ha davvero senso, quando sei perso in un oceano di caos, dove la vita si spezza in mille direzioni e tu non sai più quale percorrere. Ossessione, paura, sgomento, delirio, pornografia, incubo e distruzione. Deviazione e perversione.
Quando ho cominciato a leggerlo, mi sono reso conto che le cose attorno a me non si muovevano più: il tempo in cui le cose sono sospese si ferma, si immobilizza. E' questo lo sforzo immane di Antonio Moresco: calare il lettore in un universo costellato di metafore, personaggi, ambienti, dove le coordinate di spazio e tempo con cui le narrazioni si costruiscono da sempre vengono completamente spazzate vie. Centinaie di pagine dove nulla si muove, anzi tutto vorticosamente, distruttivamente, incoerentemente, si avvolge su se stesso senza andare davvero da nessuna parte. 
Basta elencare gli aggettivi che più si ripetono nel romanzo, non romanzo. Arrovesciato, scoppiato, sfuocato, immobilizzato, sbarrato. Ecco come si può descrivere questo libro. 
Ci inorridisce, ci sbrana, ci imbarazza, ci disgusta. Ma ci fa anche sentire terribilmente vivi, ci rende partecipi di quel senso di vuoto e di caos che imbriglia l'essere umano. Perchè siamo tutti illusi che le nostre vite abbiano un senso, di appartenere a un disegno. In realtà non apparteniamo a nessuno e nessuno ci appartiene. 
I canti sono perle dure e scabrose, ma affascinano nella ricerca spasmodica di un linguaggio che stritola il lettore nelle fauci dell'autore. Verso la fine Moresco ci invita a cogliere tutto il senso di questo enorme esperimento linguistico durato per lui ben quindici anni: 

Muovendomi attraverso questa misera cosa cui è stata la ridotta la letteratura, che è invece una fessura, una cruna attraverso la quale una nuda voce increata può ancora parlare alla propria specie arrivando fino alle sue strutture più profonde e più esplosive e segrete, nella generale e portentosa chiusura di spazi della vita biologica, sociale e mentale dell'uomo, se non sta al suo posto, se si carica nel suo inarrestabile andare di ogni possibilità e potenzialità, di ogni tensione e invenzione e precognizione e pensiero, se si apre a fondo, si lacera, si spalanca, si squarcia e va a esplorare, a occupare e a forzare in questo incontenibile e scaraventato movimento anticipato e increato la dimensione infinitamente più vasta in cui è contenuta e serbata.

giovedì 2 luglio 2015

Il più bel film sul padre: Che ora è?

Grazie a Dio ho avuto modo di rivedere quasi tutti i film di Troisi nelle ultime settimane.
Mi sono sempre sentito un po' come lui, per quello mi ci rivedo tanto, così come tanti si sono rivisti e continuano a rivedersi. 
Quei modi di fare, quel sentirsi sempre fuori posto, l'incapacità di trovare un vero posto nel mondo, sono i caratteri fondamentali di un'intera generazione. 
Il mancato posizionamento sociale, morale, sentimentale, si presenta fortemente anche in questo film. 
Facendo un po' il punto della situazione, direi che il tema del padre e del figlio è sempre stato molto presente in questo mio inutile blog. Il libro più bello sul padre: Lettera al padre di Kafka, e la poesia più bella sul padre, quella di Rilke. Ora parlo anche del film più bello sul padre: Che ora è? 
Uno di quei film dimenticati, ma che non puoi ignorare. Sarà perchè l'ho visto insieme a mio padre in questo momento un po' difficile per tutti. 
Mi sono rivisto perchè è sempre immensamente difficile parlare con un padre. Con la mamma no, era sempre facile: lei parlava anche per ore, e tu la dovevi ascoltare per forza. Con tuo padre, invece, alle volte non sai cosa dire: volano enormi balle di fieno nei campi mentre stai con lui in macchina e ti sforzi di trovare un argomento. Ma è normale che sia così: l'amore paterno pretende: ti vorrebbe vedere con un certo lavoro, una certa donna, una famiglia, un ruolo. Per un padre un figlio dovrebbe essere sempre il frutto di un sacrificio. L'espressione matura del proprio futuro. 
Troisi di fronte al padre Mastroianni si ribella a questa posizione. Lui non sa quello che vuole dalla vita e basta. Non vuole scegliere. "Io non so scegliere". Questi due mostri del cinema mi fanno capire quanto la fiamma viva del cinema italiano si sia ormai spenta per sempre. Forse non poteva capitare altrimenti, ma la poesia dei sentimenti, non la trovo più nel nostro cinema. 

sabato 27 giugno 2015

La persona più importante della mia vita è Giacomo Puccini. Il secondo più bello nella storia dell'opera.

Settimana scorsa mi invitano a un concerto pucciniano. 
Inizia a piovere perchè il concerto è all'aperto e quella sera, come previsto, il cielo fa i capricci. Ma appena iniziano a cantare, d'incanto, tutto smette. E il cielo grazia Puccini. 
Nella mia vita le persone più importanti non ci sono più. Uno si chiede: come fanno a essere morti: Puccini, Montale, Giuseppe Verdi, Dostoevskj (non imparerò mai come si scrive), Dante, Kubrick, Marlon Brando, Massimo Troisi, Cesare Pavese, Szimborska, eccetera eccetera. Quanto sono vivi quando ascolti la loro musica, leggi le loro parole, impressionano il video con le loro espressioni? 
Mentre ascoltavo, ad un certo punto, ho deciso qual è per me il secondo più bello di tutta la storia dell'opera. 
Nella Boheme Puccini mette in bocca a Mimì tutta la sua filosofia. E' anche la mia folosofia di vita, l'ho sposata in pieno, e io la penso come Puccini in tutto e per tutto. Aggrapparsi alla vita, sempre. Ai piccoli istanti di assoluta bellezza e poesia. La vita è fatta di piccoli secondi, piccoli sguardi, e bisogna riderci dentro, sguaiatamente quasi senza pensarci. 
Nell'aria "mi chiamano Mimì" Puccini ce la fa quando meno ce lo aspettiamo. Mimì sembra cantare una specie di filastrocca: 

Non vado sempre a messa,
ma prego assai il Signore.
Vivo sola, soletta
ln in una bianca cameretta:
guardo sui tetti e in cielo;

Sembra una bambina che canticchia, che parla con il babbo o con la mamma. O magari con la sua maestra.  Come facesse un tema in classe, sulla sua vita eccetera eccetera. Ma poi ecco che arriva lo schiaffio, la bocca dello stomaco si chiude, la testa non dà più segnali a nessuna parte del corpo. Mimì prende il volo, comincia ad andare a trecento all'ora e la musica si apre come un uccello nel cielo. Ma quando vien lo sgelo il primo sole è mio, il primo sole dell'aprile è mio, il primo sole è mio. Ora non è più una bambina, una scolaretta. Ora è una donna che dice al mondo: puoi togliermi tutto, ma non la mia voglia di vivere, la mia dingità di donna felice, perchè la felicità è un diritto di tutti, e io  mi aggrappo al bacio del sole che è tutta la grazia che il mondo riserva per me. 
Quando vien lo sgelo, il primo sole è mio.Bisogna essere pronti per intercettare la bellezza, mica essere distratti e pensare ad altro. La grazie arriva nelle piccole cose, e chi sa apprezzarle, strappandole al mondo per depositarle nel cuore, vivrà per sempre. Proprio come Giacomo Puccini.

sabato 9 maggio 2015

Il giorno più bello della mia vita.


Era un po' che volevo scrivere questo post. Complici mille situazioni, non mi decidevo mai a farlo. E' che forse, stavolta, è un po' personale. 
Comunque, qualche mese fa, mi è venuta in mente l'idea di un racconto. Racconto che sicuramente non scriverò mai, perchè quando ci pensi troppo ad una storia, poi perde tutta la magia. 
Ho immaginato un tizio che, arrivato alla fine della sua vita, vede un angelo apparire ai piedi del suo letto. L'angelo gli rivela un segreto, e cioè che Dio concede a tutti gli uomini, prima di morire, la possibilità di rivivere il giorno più bello della loro vita. Lui è contento del regalo, però non sa proprio quale giorno scegliere. L'angelo gli dice di non preoccuparsi perchè Dio lo sa già qual è il giorno più bello della sua vita. Così quando l'uomo lo rivive capisce, capisce che quello che aveva vissuto era stato davvero il giorno più bello della sua vita, peccato non essersene accorti quando l'aveva vissuto davvero per la prima volta. 

Così questa idea non è venuta a casa. Un giorno, da solo in casa, ho voluto fare quello che in tanti dicono che non bisognerebbe mai fare, ossia rivedere i vecchi filmini. La volevo rivedere perchè stava cominciando a sbiadire il ricordo, perché mi sentivo in colpa ... forse non sentivo più tutto quel dolore, e non capivo se questo era giusto o sbagliato. Quasi quasi volevo stare male ancora una volta, magari non così tanto, ma un po' sì. Perchè una vita così non se ne può andare e basta. 

Non a tutti è dato rivedere il giorno più bello della propria vita, soprattutto quando ce ne siamo completamente dimenticati. Quel filmino l'avevo fatto io, quando mi credevo un grande regista. Niente paesaggi o grandi vedute, solo vita vissuta. 
Siamo in montagna, e lei è lì che tenta di fotografarci, ma non si accorge che nella macchina non c'è nemmeno il rullino, così la prendiamo in giro. Siamo in macchina a raccontarcela e lei racconta una di quelle storie della sua vita che nessuno ascolta ma che è bello fingere di ascoltare solo per il bellissimo suono della sua voce. Poi siamo seduti su un panchina in un parco e mi chiede se nel panino voglio mortadella o prosciutto crudo. Stiamo facendo una salita e riprende mio padre perché le era stato detto che il percorso era breve e tutto in piano per arrivare al rifugio. Ridiamo, ridiamo un sacco, e mi accorgo che così io non rido più. Siamo in quattro in macchina, e ora mi guardo intorno e non c'è proprio più nessuno. Magari un giorno avrò anche io la mia famiglia, e dietro ci saranno i miei figli, e a fianco mia moglie, ma non sarà più la stessa cosa. Perchè la spensieratezza che ti dona l'amore di tua madre non ci sarà più. Mai più. E' questa la cazzo di verità. Fa male rivederla come se lei fosse lì, ma almeno sono contento perchè adesso so che quello era stato il giorno più bello della mia vita. Mi spiace solo che nella vita non ci sia qualcuno che ti picchia la spalla e ti dica: "Non ti distrarre maledizione, non pensare ad altro, e concentrati. Concentrati su questo momento perchè oggi, caro mio, è il giorno più bello della tua vita". 

lunedì 27 aprile 2015

Ninphomaniac. Lars von Trier. Il film che ti piace dopo un po' che l'hai visto.


Ci sono sempre film che non capisci, così come i libri, o i quadri, o una musica. Proprio non ti dice niente, quasi ti dà fastidio, ti turba, ti scuote dentro, forse ti annoia. Però poi con il passare del tempo, quel suono, quell'immagine, quel verso, non si sa il perchè ma ti torna in mente. Non si è fatto rapire dai giorni, dallo scorrere lento del tempo, non l'hai dimenticato, si è depositato. E' il fascino segreto di una forma d'arte come il cinema ad esempio. 
Non ho amato affatto all'inizio questo film così esplicito. Ma giorno dopo giorno mi sono ritrovato a pensarlo sempre più spesso. Non posso negare che la sessualità sia uno dei temi che mi sta più a cuore. Fa parte dell'animo umano, è la lanterna primigenia. In nuce, dentro ognuno di noi, vibra e non si spegne. E' l'uomo delle caverne, quello con la clava, quello pieno di peli. Quello che quando vedeva un fulmine se la faceva sotto dalla paura. 
Ninphmaniac è un film che ti piace dopo, quando ci ripensi. La protagonista di questo film, Joe, dedica tutta la sua esistenza alla esplorazione del sesso, in tutte le sue forme e perversioni, raccontando a un filosofo che la pesca per strada tutta la sua vita disastrata. 
La vita, la nostra vita, è costellata di sovrastrutture. Sono le cose che fanno di noi animali diversi dagli altri: il lavoro, la religione, la filosofia, l'arte, la cultura. La famiglia, l'amore. Gli affetti. L'empatia universale. Joe, la protagonista, cerca una vita senza sovrastrutture: libera dal bene e dal male, piena esclusivamente del tamburellare magnetico del sesso. Lì non sarò tradita, pensa. Non posso rimanere delusa da qualcuno che non mi ama più, da un figlio che fugge di casa, dalla morte di una persona cara. Nel sesso tutto si annulla: persino il tempo, incastrato nell'eternità di un orgasmo. 
Ninphomaniac volume uno e due, è un film che può far male. Ma ha il pregio ineguagliabile di cercare ancora una volta un nuovo linguaggio. Un linguaggio che possa ribadire quanto siamo fragili e insostituibili. 

mercoledì 15 aprile 2015

Tony Servillo. La parola canta. Il più bello spettacolo teatrale della stagione.

Nella mia vita molte cose sono cambiate, e fra il poco tempo e i miei tentativi di finire il mio (diciamolo pure) inutile secondo libro, aggiorno poco il mio blog che (diciamo pure questo) non è che riscuota un gran successo.
 Così continuando ad esercitare per naturale predisposizione l'esigenza fisiologica di scrivere eccomi qui a parlare di questo spettacolo.
Tony Servillo ormai è un monumento del cinema italiano. Il mio è stato praticamente Amore a prima vista. Artisticamente i suoi personaggi sono stati fondamentali nel mio percorso visivo. Dall'Uomo in più fino alla Grande bellezza una parabola in continua ascesa. E c'era da immaginarselo vista la sua incommensurabile bravura.
Ieri sera corro allo Streheler: un ora e mezza fatta di musica e poesia. Un vero recital dove ogni cosa è studiata nel minimo dettaglio: dall'uso sapiente degli strumenti, dal movimento degli attori, che si alzano e si siedono dando spazio l'uno all'altro: i due fratelli Beppe e Tony.
Io amo Napoli perchè mia mamma era di giù, con lei, quando c'era, parlavamo solo napoletano. Eppure ho fatto fatica ad intercettare tutte le parole usate da Servillo. Poi ho capito.
Tony Servillo, in barba a qualsiasi voglia da cartolina, usa il napoletano come vera pietra lavica. La mastica, la sputa, la forgia come un Vulcano nella sua fornace. La torce, la scompone, l'annulla. E' spietato nel mettere a dura prova l'ascoltare, frastornato fra mille ripetizioni, urla del vicolo, parole quasi inventate, spezzate, buttate. Servillo non si risparmia, usa fino all'ultimo fiato, fino all'ultima goccia di sudore per il pubblico. Ma non concede niente alla facilità. C'è solo un momento in cui il pubblico può distendersi, la magnifica favola del mariuolo che crede di andare in Paradiso.
I veri napoletani per me sono sempre stati quelli che comprendono il limite di Napoli, l'infinita potenza del suo linguaggio, ma anche la capacità di dare spazio al silenzio, di non accanirsi nel cercare di spiegare per forza tutte le contraddizioni che vive questa città.

mercoledì 25 marzo 2015

1992 La serie.

Erano mesi che aspettavo questa serie nuova di Sky. I motivi sono tanti:
per prima cosa le serie stanno diventando per me una nuova grande passione. La narrativa che esprimono e i linguaggi che esplorano danno vita ad avventure continue.
Poi tangentopoli è uno dei capitoli più interessanti della storia italiana, soprattutto per l'effetto castello di carte, o effetto domino che un singolo arresto ha avuto su un intera classe politica.
1992, pur non essendo Gomorra né tantomeno House of Cards (e forse meglio così, perché diciamolo non è che sia sempre chiarissima come serie né è così semplice star dietro a tutti i complotti), arriva comunque al bersaglio.
Due sono secondo me gli "artifizi" utili che la sceneggiatura adotta:
1) l'uso della narrazione Ken Follet. Gli ultimi tre libri di Follet, la cosiddetta Century Trilogy, si basano sulla storia di alcuni personaggi inventati, a stretto contatto con figure famose della storia mondiale. Qui accade la stessa cosa: un aiuto magistrato a fianco di Di Pietro, un responsabile della comunicazione di Publitalia a fianco di Dell'Utri e Berlusconi, un signor qualunque che aiutando un deputato contro alcuni albanesi che lo stanno facendo nero viene eletto parlamentare della lega: quindi si troverà a stretto contatto con Bossi e compagnia bella.
2) Il segreto. Ognuno dei tre personaggi nasconde un inconfessabile segreto, qualcosa che viene soltanto accennato tramite una fotografia, un articolo di giornale, due parole con un infermiera e un sogno ricorrente.

Per ora non c'è niente male e vedremo come saranno gli sviluppi. Come Stefano Accorsi è sempre stato uno dei miei attori preferiti, fin dai tempi dell'Ultimo bacio. Sono contento che non sia sparito come mole meteore del cinema italiano.

domenica 22 marzo 2015

I cinque segreti di Cinquanta sfumature di grigio. Il libro.

Sto trascurando moltissimo il blog, ma sono forse in dirittura di arrivo con il mio nuovo libro. Non so quanto ancora ci vorrà ma sento che un po' ci siamo. Così, mi va di parlare ancora di questo fenomeno. Proprio perché è sempre facile liquidare i successi con "facile fare successo se parli di sesso" dopo il film ho letto anche il libro. D'accordo ho letto solo il primo libro, ma un'idea ora me la sono fatto.
L'accusa più frequente a cui mi è capitato di assistere è sempre stata: è scritto male. Ora certo non posso definirmi scrittore, visto che la mia unica pubblicazione giace in rete gratuitamente con critiche altalenanti, ma sento di poter dire la mia sul modo di scrivere di questa autrice.
E' vero, lo stile è semplice e ripetitivo. Ma è sufficiente per dire che è scritto male?
L'autrice fa una scelta precisa e voglio provare a snocciolare qui l'idea che mi sono fatto di questo romanzo e dei motivi alla base del suo successo:


1) Il libro ha un ritmo rapido e incalzante. Il tempo è sempre al presente, siamo nella testa della protagonista, gli eventi si succedono ai pensieri e i pensieri agli eventi. Anastasia guarda, vive, sente, agisce, soffre, è felice, è triste, gode, desidera, si pente, si fa forza, si ritrae. Sembra di stare su un'altalena, la trama e la coscienza sono intrecciati a doppio filo, e non è facile staccarsene.
2) Le ripetizioni. Ora ogni scuola di scrittura creativa probabilmente insegna l'esatto contrario di quello che questa autrice propone nel suo modo di argomentare. Questa è forse la prova più lampante di quello che un bravo scrittore dovrebbe fare: non seguire nessun consiglio, ma avere in mente una solo cosa: proporre un linguaggio. La James ripete in continuazione situazioni, dialoghi, pensieri e perfino azioni. Anastasia alza gli occhi al cielo e Mr. Grey si incacchia. Anastasia sente la sua "dea interiore" che sarebbe un po' la sua coscienza rimproverarla e invogliarla migliaia di volte. Anastasia osserva Mr Grey e pensa "quanto è sexy", "quanto è bello", "è un dio greco", "è un dio del sesso". Anastasia ripete a se stessa: "forza Anastasia", "ce la posso fare", "quanto è stronzo", "mmmm...". Mr Grey vuole che Anastasia mangi e lei non ha fame, e questo succede un incredibile quantità di volte. Ripetere cellule narrative in continuazione nel romanzo, aiuta a farsi dondolare nelle pagine di questo libro. E' quello che cerca l'autrice: creare un effetto a elastico, dove i due protagonisti si allontanano e si avvicinano, come se un invisibile molla li attraesse e respingesse perennemente.
3) Ormai mi sono autoconvinto che molti autori nascondano la cifra stilistica dei propri romanzi all'interno dei propri libri, usando frasi precise che in maniera subliminale suggeriscano al lettore la propria filosofia del narrare. Anche qui credo di averla trovata, ed è a pagina 415 e lo dice Anastasia a Mr Grey in una delle tante mail che si mandano (tanto per parlare di ripetizioni): << il linguaggio è qualcosa di organico, cambia e si evolve. Non è chiuso in una torre di avorio, sospeso tra costosi oggetti d'arte.>> Insomma, una dichiarazione di intenti contro la critica benpensante.
4) La storia d'amore ovviamente. L'ho ripetuto mille volte, una storia d'amore si costruisce sempre così: un amore diviso da una barriera invalicabile, e stavolta l'autrice l'ha costruita dentro il personaggio. Non ci sono genitori cattivi, zie crudeli, distanze insormontabili, malattie terminali, eccetera eccetera. C'è il male che cova demoniaco dentro l'animo del personaggio, è lì il limite e la barriera, solo lì.
5) Collegato al 4: l'idea della sfumatura. Anche questo l'ho già detto più volte: non esiste più il bene e il male. Basta guardare tutte le serie televisive di successo e molti romanzi, tra cui questo, che forse ha saputo fare un po' da apripista. Giudicare è sempre stato il limite della nostra umanità. Capire forse sarà il prossimo passo per costruire un domani migliore.


Ovviamente prendete tutto questo con il beneficio d'inventario.

giovedì 5 marzo 2015

Cinquanta sfumature di grigio


Ammetto di non aver letto il libro. Qualche settimana fa, spinto dall'enorme curiosità, vedo il film. La sala era piena di combriccole femminili, poche coppiette, ma gruppi di donne voraci, matte per la voglia di vedere finalmente incarnarsi i propri sogni. 
Lo dico subito: il film mi è piaciuto. 
D'accordo non sarà un gran film, certo non merita l'oscar, ma la storia, per Dio, funziona. 
Di fronte a un successo così planetario, uno dovrebbe chiedersi prima di tutto il perchè. E' fin troppo facile liquidare la questione con: facile fare successo parlando di sesso. E no, non è così. 
Quanti romanzi erotici sono stati scritti? Una marea ... perchè questa autrice ha avuto così tanto successo? 
Le storie d'amore sono costruite sugli ostacoli. A nessuno interessa il "e vissero felici e contenti". E' l'ostacolo a tenere incollato il lettore alla storia. 
Una donna si innamora dell'uomo perfetto, una donna un po' maldestra, non fortunatissima, una di quelle che ammira sempre e solo le altre. Praticamente stiamo parlando del 90% delle donne. Perchè diciamolo tutte le ragazze sono insoddisfatte della propria vita, forse perchè sono più intelligenti degli uomini. Lui però, come al solito, nasconde una fregatura. Gli piace il sadomaso. 
Ora la cosa detta così sembra un'enorme fesseria. Invece no, non è così. Perchè quella che è una vera e propria malattia, non impedisce alla protagonista di affrontare la situazione, è talmente innamorata di lui da non volersi staccare da lui, talmente forte è il suo amore che è disposta a provare, ad attraversare quella perversione per cercare di capirlo, e forse, guarirlo, forse trovare un modo anche disperato per amarsi. 
La nostra società sarà sempre divisa fra quelle che dominano, i leader, e quelli che vengono dominati. La perversione è sempre una estremizzazione di pulsioni nascoste in ognuno di noi. E' bello in fondo non dover scegliere per alcune persone, perchè si sentono di affidarsi completamente a qualcun altro: i figli, i dipendenti, i seguaci di una setta, una moglie che si affida alle cure del marito. Altri hanno un temperamento da leader, guidano le folle. Dentro di noi c'è sia il servo, sia il padrone. E Hegel un po' lo insegna. Quando una storia ci fa vedere cosa c'è sotto la punta dell'iceberg della nostra mente, fa sempre c'entro. E non c'è niente da fare.

venerdì 20 febbraio 2015

La voce più bella nella storia del cinema: Lei.


Ok l'ho visto doppiato. Ok non sarà la stessa cosa. Ma quanto bella è questa voce? Nella versione originale l'attrice che recita la parte dell'OS è Scarlett Johanson ma anche la nostra doppiatrice non è niente male. 
Il fatto è questo punto: cosa serve per innamorarsi di qualcuno? E' necessario un corpo? O basta una voce? L'amore più sublime è quello che manca di un pezzo, quello che non puoi raggiungere pienamente, quello mancato, quello che vedi lontano mentre un fiume in piena ti divide. 
Un uomo in un futuro non molto lontano si innamora di un sistema operativo, un marchingegno che ti può vedere e può parlare, ma non ha un corpo. Per il resto è identico a una donna. Emozioni, difetti e gelosie. 
Film così mi rapiscono sempre e non so il perchè. Forse perchè l'amore è l'esperienza più indecifrabile e assurda della nostra esistenza, chissà. 
Ma come è bello guardare l'attore protagonista reagire alle parole di una voce in estasi? 
Quando tutto manca come in questa coppia assurda, allora emerge la voglia di colmare, la spinta infinita dell'uomo a raggiungere la metà della mela. E' questa corsa infinita a rendere tutto struggente e potente. 
La voce più bella nella storia del cinema: LEi

venerdì 6 febbraio 2015

Il romanzo più difficile da finire: "Storia di Genji: il principe splendente".

Nella mia vita ci sono solo due titoli che rimangono una specie di sconfitta, due romanzi che non sono riuscito a finire. "Moby Dick", e "Viaggio al termine della notte". Tutte le volte che ne sento parlare, qualcosa dentro di me brucia, come una specie di ferita. Avrei potuto tener duro, mi dico, pazientare e ultimare la lettura. Da allora non c'è libro che non riesca a non finire. Soprattutto perché sono proprio i libri più difficili da leggere, quelli per così dire lenti che si depositano più a lungo nella nostra memoria. Il principe Genji è stata una prova durissima, non tanto per la scrittura che è in sè semplice; ma per la lentezza della storia. Nella letteratura giapponese, che ammetto di non amare più di tanto, i cinque sensi si amplificati a dismisura. Non c'è colore, profumo, rumore, sapore che non venga descritto nei minimi particolari.
Il particolare diventa un vero microcosmo in cui i personaggi si perdono. Il principe ama incondizionatamente tutte le donne che all'inizio lo respingono o che hanno qualcosa che lo incuriosiscono, magari sono brave a danzare, a cantare, a suonare la cetra. A volte sono simpatiche, a volte nemmeno tanto carine. Quando ama, lui ama per sempre, accogliendo ogni responsabilità nella sua grande casa, assegnando ad ogni dama un'ala del suo enorme palazzo. Le persone si scrivono poesie, e sono tenute a rispondere. Gengji verifica la bellezza della calligrafia, lo spessore della carta, il profumo di cui è impregnato il biglietto. Verifica la bellezza delle vesti, del portamento, la capacità di dialogare della dama. Attraversa ogni esperienza con una sensibilità gigantesca, sopportando spesso la morte delle persone che ama. La colpa per i suoi desideri che non riesce a reprimere viene sempre espiata nel corso della sua vita. Ma sarà solo una la donna della sua vita: la bellissima principessa Murasaki, capace di sopportare qualsiasi peso, persino di accettare l'incontentabile sete di amare del suo adorato Principe Gengji. Questo romanzo, scritto nell'anno mille, è una specie di grande albero della vita, che si ramifica e dipana, con una eleganza incredibile. Anche se le passioni si ripetono, così come le feste, le danze, i riti, le stagioni, le morti, e le nascite, ogni cosa è sempre vissuta come un nuovo inizio, come una rinascita, nell'infinito ondeggiare del mare della vita.