sabato 9 gennaio 2016

Zero zero zero. Roberto Saviano l'ultimo uomo di lettere della nostra letteratura italiana.

E' molto difficile osservare nella letteratura moderna il respiro della "grande letteratura". Non sono mai riuscito a spiegarlo bene, ma è una specie di mano invisibile che attraversa le pagine. La stessa mano invisibile dei grandi scrittori, come Camus o Dostoevskij, come Dante o Dickens. Veramente è complicato descriverla questa mano invisibile, ma la si avverte sempre quando c'è qualcosa di non detto, di non sprecato, di trattenuto, dietro le righe. Una specie di resa, di preghiera laica, di speranza e nello stesso tempo indicibile disperazione. Roberto Saviano è forse l'ultimo grande uomo di lettere della nostra letteratura. Si può girarci intorno quanto si vuole, ma non si può non venire travolti dalle sue pagine. Non sono tanto le storie, descritte magistralmente, di orrore a renderlo grande, ma è la sua anima in ognuna di queste storie che ci tocca e commuove. 
Roberto Saviano è il vero protagonista di questo che sembra un saggio, ma che non lo è per niente. Non ho letto Gomorra, lo ammetto, troppo scosso dai film, serie televisive, e comparsate tv di Saviano che ho sempre adorato comunque, ho preferito leggere la sua seconda fatica, zero zero zero. A colpirmi più di tutto, al di là delle storie appunto, e della perfezione ritmica del susseguirsi incessante di crudeltà e terrore, è proprio lui, Roberto Saviano. Come un moderno Achab, Saviano ammette la sconfitta, si toglie il cappello, cede umanamente alla consapevolezza di un obbiettivo che non ha saputo raggiungere. Sa che non potrà sconfiggere la balena bianca, e tutto il male che lo attraversa, sa che non verrà compreso, sa che la verità che sta cercando non lenirà le sue ferite ma le farà bruciare ancora di più. Però continua, come una falena impazzita, attratta da una lampadina che non potrà mai inghiottire e spegnere per sempre. 
Le persone hanno bisogno di chiudere gli occhi di fronte al male e alla sofferenza. Sono chiuse dentro le loro case, al sicuro, come nella bellissima e struggente poesia di Primo Levi. Bisogna girare pagina, saltare da qualche guerra civile alle ricette di Alessandro Borghese. Bisogna vivere, vivere, una vita che esiste solo per chi è tranquillo, chi può permettersela, e quella bisogna guidarla senza guardarsi troppo in giro, senza farsi travolgere dalla disperazione. Ma Roberto Saviano non lo fa. Non torna al suo piatto caldo, alle sue uova al tegamino. Lui decide di lasciar perdere tutto e immergere corpo e ossa nel fango, conoscerlo il male, comprenderlo, masticarlo, vomitarlo. Fino a farsi odiare da tutti, fino a perdere qualsiasi cosa come la sua libertà.