sabato 22 marzo 2014

Il ruolo del padre. In una poesia.

Quante cose si rinfacciano ai padri. Questa settimana c'è stata la festa del papà, e come di solito avvengono queste cose, mi sono imbattuto per puro caso in una poesia di Rilke sul padre. Sto leggendo questa specie di saggio sul riscoprire il significato dell'anima. L'autore è uno psicologo, Hillman. 
Molto spesso mi capita di vedere persone che vedono l'arrivo di un figlio come l'appagamento ultimo della proprio vita. Certo, io non ce l'ho e non posso parlare. Ma quanti fuochi si spengono perchè ogni aspirazione si esaurisce nell'idea di mettere al mondo qualcuno. Ogni attenzione viene riservata esclusivamente a questa creatura. 
Hillman dice una cosa diversa. E' sbagliato rinfacciare ai padri l'assenza, perchè i padri hanno un ruolo diverso. I padri hanno bisogno del loro lavoro, delle loro passioni, dello sport, della vita sociale con il mondo esterno. I padri sono il ponte che lega i figli con l'altrove. Sono e devono essere fonti di ispirazione, porte aperte alla vita, invogliare alla crescita, a credere nei sogni. Qui entra in gioco questa poesia fantastica. Rilke l'aveva capito: un padre è essenziale soprattutto nel consegnare il mondo ai figli. Nessuno può donare la felicità a qualcuno. Solo i mezzi per raggiungerla. 

Talvolta un uomo si alza da tavola a cena
ed esce e cammina, e continua a camminare,
perché da qualche parte a oriente sa di una chiesa.
E i suoi figli pregano per lui, come se fosse morto.
E un altro uomo, che muore nella sua casa,
nella sua casa rimane, dentro il tavolo e il bicchiere,
sicché i suoi figli devono andarsene nel mondo 
lontano,
verso quella stessa chiesa, che il padre ha 
dimenticato.

mercoledì 19 marzo 2014

Il più grande romanzo del nuovo millennio si chiama Breaking Bad.



Raskolnikov, Gregor Samsa, Amleto, Lear, Edipo, Medea, Dorian Gray. Ulisse, Ettore, Orlando. Madame Bovary, D’Artagnan, Anna Karenina. Personaggi, personaggi senza tempo, al di là del tempo e che non smetteranno mai di dire a tutti noi chi è l’uomo. Ogni sfaccettatura, ogni cambio di direzione,  ogni imprevisto, ogni sorpresa.  Insieme a tutti questi io metto Walter White. Forse il più grande regalo che l’artista di questa serie televisiva ci ha regalato in questo nuovo millennio. Pura letteratura e un vero miracolo. Ho fatto le due e mezza di notte ieri per completare questa avventura ormai iniziata un paio di mesi fa. Ho letto un po’ di libri di psicologia, psicanalisi e neuroscienza in questi anni. Solo una cosa credo di aver compreso davvero. Per quanto gli scienziati e gli psicologi si affannino esisterà sempre un quid nell’animo dell’uomo che nessun calcolatore, per quanto potente, potrà mai misurare e afferrare. Ci provano sempre a chiuderla questa bella equazione: l’uomo è il prodotto di genetica, ambiente ed educazione. Purtroppo è un castello di carte destinato a crollare quando l’incredibile e insondabile bellezza della mente umana si affaccia ai nostri occhi. Solo l’arte, solo l’arte ci fa scoprire quel quid. Solo la musica, la letteratura, la pittura. Solo il cinema e il teatro. Le storie ci fanno smarrire. E una storia come questa ci lascia smarriti alle porte della nostra identità. Walter White è la parabola che ci fa sentire vivi, ci trascina nell’abisso delle nostre paure e dei nostri sogni. Quello che vorremmo essere ma che abbiamo paura di raggiungere. Walter White ci schiaccia con la sua cattiveria germogliata da una pianta sana. Dalla sua bontà che appare come luce in una palude di sangue. Ci fa provare l’amore e l’odio. Comprendiamo noi stessi negli occhi di questo attore incredibile. Breaking Bad è e sarà per sempre un’esperienza che non ci può lasciare. Non saremo più come prima, e l’indicibile smarrimento che attraversa la visione è un discendere nel nostro essere. Breaking Bad è un viaggio nell’anima. Il più grande romanzo del nuovo millennio si chiama Breaking Bad.

sabato 8 marzo 2014

La più bella descrizione di Dio

L'amore mistico è un amore che non ha uguali. Comincio a pensarlo. Chi lo prova è totalmente pieno, non ha vuoti, non ha appetiti che lo turbino, non soffre di privazioni, non desidera altro da quello che ha. 
L'amore mistico possiede da sempre un fascino che non mi so spiegare. Ho provato le stesse sensazioni che ho avuto leggendo il Paradiso di Dante. La montagna dalle sette balze di Thomas Merton è un libro incredibile, una storia di conversione capace di stupire e accarezzare qualunque coscienza: dal più credente al più scettico, dal più agnostico al più ateo. Quando l'uomo che crede così tanto descrive così bene l'amore per Dio, in noi qualcosa si muove. Non so cosa sia, ma si muove. E' una sensazione che non ha spiegazione. E' così, stai bene o per lo meno in te cresce quel desiderio profondo. Di sentire come lo sentono loro questo Dio che non puoi vedere. Alla fine di questo libro, Merton racconta la sua esperienza di frate Trappista e l'amore lo pervade: 

In un certo senso noi stiamo sempre viaggiando, viaggiando come se non sapessimo dove siamo diretti. In un altro senso siamo già arrivati. Non possiamo in questa vita giungere al perfetto possesso di Dio, e proprio per questo stiamo viaggiando, e nelle tenebre. Ma già Lo possediamo per mezzo della grazia, e quindi in questo senso siamo arrivati e dimoriamo nella luce. Ma ahimè quanto devo ancora camminare per trovare Te al Quale già sono giunto! Perché ora, o mio Dio, è a Te solo che posso parlare, perché nessun altro mi capirà. Non posso portare altri di questa terra sulla nube dove io vivo nella Tua luce, cioè nelle Tue tenebre, dove sono umiliato e sperduto. A nessuno posso spiegate l'angoscia che è la Tua gioia, la perdita che il possesso di Te, la distanza da tutte le cose che significa l'arrivo in Te, la morte che è la nascita in Te, perchè neppure io ne so nulla, so soltanto che vorrei tutto fosse finito, vorrei tutto fosse incominciato.
Tu hai contraddetto ogni cosa, Tu mi hai lasciato nella terra di nessuno. 


martedì 4 marzo 2014

Ancora Grande Bellezza


Sono proprio contento di questo Oscar. Quasi un anno fa, un poco meno, ho visto questo film al cinema e ho scritto la mia solita recensione. Ammetto che non pensavo che questo film sarebbe riuscito ad incassare l' Oscar, ma credo che Sorrentino se lo meriti. L'ho amato dal primo film, ma non posso esimermi dal dire una cosa a chi vorrà ascoltarmi. Sono rimasto abbastanza irritato dalle critiche dei giornalisti, dalla gente che non sapeva nulla di questo regista e che lo accusa di aver cavalcato degli stereotipi italiani.
Questo non è un film sula decadenza italiana. Le maschere che Sorrentino costruisce sono funzionali al registro che vuole trasmettere. In tutti i suoi film i protagonisti camminano sempre con profondo disincanto. Cercano di anestetizzarsi dal baratro come possono. Sono consapevoli della morte, della infelicità, della ingiustizia, della mancanza di amore, della incomprensione. Vivere è difficile, alle volte insopportabile. E' solo lo smarrimento di fronte alla bellezza del mondo che salva le persone. Solo quella grazia che Jeb Gambardella intravede negli occhi di una donna anziana votata alla povertà, permette a questi personaggi di redimersi, di trovare una speranza, una via di fede. Una fede laica certo, ma comunque potente.