venerdì 29 novembre 2013

Vivere per sempre

Sto per finire di ascoltare la tetralogia di Wagner, un'opera divisa in quattro opere. Quindici ore di musica lirica. 
Mi è venuta voglia di riassumere un po' le cose. Tutte le cose più strane che ho fatto da quando ho aperto questo blog. Capire se le ho fatte per riempire il blog o perché lo volevo davvero. 
1) Ho letto tutta la Bibbia (3000 pagine più o meno) : quattro mesi di lettura.
2) Ho riletto tutta la Divina Commedia (3000 pagine fra testo e commenti): sei mesi di lettura fra pause e riprese.
3) Ho letto l'Orlando Furioso (1500 pagine): tre mesi di lettura. 
4) Ho ascoltato tutta la Tetralogia di Wagner: 15 ore di ascolto. 

Non ho una laurea in Lettere, in Musicologia, in Teologia, in Cinematografia. Ho una laurea in Economia che non c'entra niente con tutto quello che ho citato. Sono stato anche accusato di menarmela un po', che certe cose dovrei scriverle sul mio diario e chiuderlo in un cassetto. Che non dovrei rivelare al mondo le mie considerazioni banali. 

Tutto può essere. La verità è che mi piace perdermi come un bambino in queste cattedrali di pensiero umano. Monumenti all'IO, al desiderio dell'uomo di solcare ogni tempo e ogni spazio. Ci sono artisti che ci portano a scoprire la bellezza del mondo tenendoci per mano. Ci accompagnano passo passo e la sensazione è bellissima. Ma poi ci sono i Profeti: artisti che non parlano a noi adesso, ma ad ogni uomo in ogni tempo. Non ti accompagnano per mano, ti danno una mappa, ti indicano una strada, poi se tu che devi viaggiare, devi inerpicarti per sentieri stretti, affannare dalla fatica, immergerti senza respirare negli abissi bui del pensiero umano. E quando arrivi alla fine capisci che la bellezza non sta nel finale, non è lì la bellezza, ma nel viaggio che hai fatto. In quella fatica, in tutto quel tempo che ha riempito le tue giornate. Nello scambio che hai avuto con qualcuno che non vive ma che esiste ed esisterà sempre. 
Oggi nessuno cerca di parlare con una idea di eternità, nessuno ha quel coraggio e quella presunzione. 

sabato 23 novembre 2013

Wagner

Non sono mai riuscito ad ascoltarlo davvero. I motivi sono i più diversi: è uno degli autori più complessi da seguire, ma forse il motivo principale è dato dal suo terribile contributo alla storia del Nazismo. E' difficile scindere la vita dall'arte, ma alle volte è necessario. Soprattutto quando si parla di un autore che ha condizionato completamente la storia della musica, del teatro e, a mio modestissimo parere, anche del cinema. 
Se Wagner nascesse oggi certo non scriverebbe opere. L'opera si disintegra nel momento stesso in cui la tecnologia inventa il microfono. Senza un sistema di amplificazione artificiale l'uomo applica l'amplificazione naturale: il diaframma. Perchè i cantanti cantano in quel modo strano nell'opera? in un teatro enorme e con un orchestra così imponente l'unico modo è usare il diaframma. 
Così se Verdi nascesse oggi, probabilmente scriverebbe grandi musical, ma se Wagner nascesse oggi forse si dedicherebbe al cinema, scrivendo sceneggiature e curando le colonne sonore. 
Wagner rivoluziona completamente la storia del teatro, l'opera per lui è tutto. Letteratura, scrittura, musica, teatro, arte visiva. 
Mi sono buttato nell'ascolto dell'anello del Nibelungo, Wagner è il padre anche del fantasy, e se solo si avesse la pazienza di mettersi ad ascoltarlo, si potrebbero trovare Tolkien, la Rowling, Terry Broks, Cristopher Paolini, tutti intenti a rubare qualcosa a quest'opera immensa. 
Ma quello che colpisce di più ovviamente è la musica, fino a Wagner la musica sapeva descrivere solo le emozioni dei personaggi: la gelosia, la passione, l'invidia, la disperazione, la perdita. 
Nell'anello del Nibelungo Wagner va oltre: non solo l'emozione, ma anche e soprattutto l'azione. I personaggi sono figure che agiscono, e assicurando una posizione dominante all'orchestra a scapito delle voci, l'autore descrive ogni cosa: la discesa di un Dio dal cielo alle caverne dei Nibelunghi, il rumore di una spada saldata da un nano su un incudine, un drago che si eleva per sbranare chi tenta di rubargli un tesoro, il movimento di un abbraccio, il rumore di una tempesta, l'arrivo del marito che sorprende un forestiero in compagnia della moglie, la pioggia battente, una lancia che uccide, una spada che si frantuma.

domenica 17 novembre 2013

La strada verso casa. Fabio Volo


Giorni fa ho ascoltato in radio una descrizione molto bella sulla differenza fra classicità e modernità. Il critico diceva che la differenza fra un classico della letteratura e un romanzo moderno è la stessa differenza che intercorre fra una facciata di una cattedrale e la piramide all'ingresso del Louvre. Se guardi da lontano una cattedrale ti sembra ricca, e se ti avvicini ti sembra ancora più ricca. Nessuna parte è trascurata, ogni dettaglio è vissuto come un avvenimento. Se ti avvicini a un'opera moderna scopri che lì non c'è nulla, trovi un pezzo di vetro, di plastica o di plexigas. Il dettaglio non è più importante. 
Non potevo non leggere l'ultimo romanzo di questo personaggio che ormai seguo da tanti anni, soprattutto dopo aver avuto un mese fa la fortuna di chiacchierare con lui in radio. Di fronte a un successo così vasto non ci si può chiudere dietro a pure ragioni commerciali. Perché a così tanta gente piace Fabio Volo? Perché tutti i suoi libri sono facili, e per chiunque riuscire a finire un libro va a beneficio del proprio ego culturale? Come Aldo Grasso un anno fa ha avuto il coraggio di scrivere in un suo articolo? Perché trincerarsi dietro la presunta ignoranza della gente, quando molti altri personaggi hanno tentato fatiche letterarie senza nessun successo? 
Da "Il Giorno in più" in poi, "La Strada verso Casa" è in assoluto il miglior romanzo di Fabio Volo. 
Volo affronta senza nessuna paura il tema della quotidianità, del dettaglio, del particolare che nessuno pseudo intellettuale ha il coraggio di affrontare. La ritualità dei gesti in una cucina, in un ristorante a cena con un amico, su una panchina, persino in bagno. E' la quotidianità il percorso che i suoi personaggi affrontano per uscire dal labirinto sentimentale nel quale si sono smarriti. Le loro convinzioni vengono smentite dagli eventi che la vita mette in continuazione loro davanti. Aggrappati ai gesti: come fumare una sigaretta, aprire una bottiglia di vino, guardare serie televisive sul computer fino a frantumarsi il cervello; i personaggi si liberano dei fili che si sono costruiti per tutta una vita. Marionette inconsapevoli trovano la strada per abbandonare il teatro e tornare alla dimora che li attende. E' questo il motivo del suo successo. Almeno secondo me. 

giovedì 14 novembre 2013

La più bella descrizione di una donna nella storia della letteratura.

E per concludere l'excursus sull'Ariosto ho deciso di pubblicare una delle più belle descrizioni di bellezza femminile nella storia della letteratura. Alle volte i poeti sanno essere più pittori dei pittori stessi come ricorda Lodovico Dolce nel "Diario della Pittura": 
<< Ma se vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze dell'Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente le bellezze della fata Alcina; e vedranno parimente quanto i buoni poeti siano ancora essi pittori>>. 

Di persona era tanto ben formata,
     quanto me’ finger san pittori industri;
     con bionda chioma lunga ed annodata:
     oro non è che più risplenda e lustri.
     Spargeasi per la guancia delicata
     misto color di rose e di ligustri;
     di terso avorio era la fronte lieta,
     che lo spazio finia con giusta meta.

12 Sotto duo negri e sottilissimi archi
     son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,
     pietosi a riguardare, a mover parchi;
     intorno cui par ch’Amor scherzi e voli,
     e ch’indi tutta la faretra scarchi
     e che visibilmente i cori involi:
     quindi il naso per mezzo il viso scende,
     che non truova l’invidia ove l’emende.

13 Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
     la bocca sparsa di natio cinabro;
     quivi due filze son di perle elette,
     che chiude ed apre un bello e dolce labro:
     quindi escon le cortesi parolette
     da render molle ogni cor rozzo e scabro;
     quivi si forma quel suave riso,
     ch’apre a sua posta in terra il paradiso.

14 Bianca nieve è il bel collo, e ’l petto latte;
     il collo è tondo, il petto colmo e largo:
     due pome acerbe, e pur d’avorio fatte,
     vengono e van come onda al primo margo,
     quando piacevole aura il mar combatte.
     Non potria l’altre parti veder Argo:
     ben si può giudicar che corrisponde
     a quel ch’appar di fuor quel che s’asconde.

15 Mostran le braccia sua misura giusta;
     e la candida man spesso si vede
     lunghetta alquanto e di larghezza angusta,
     dove né nodo appar, né vena eccede.
     Si vede al fin de la persona augusta
     il breve, asciutto e ritondetto piede.
     Gli angelici sembianti nati in cielo
     non si ponno celar sotto alcun velo.

16 Avea in ogni sua parte un laccio teso,
     o parli o rida o canti o passo muova:
     né maraviglia è se Ruggier n’è preso,
     poi che tanto benigna se la truova.
     Quel che di lei già avea dal mirto inteso,
     com’è perfida e ria, poco gli giova;
     ch’inganno o tradimento non gli è aviso
     che possa star con sì soave riso.

17 Anzi pur creder vuol che da costei
     fosse converso Astolfo in su l’arena
     per li suoi portamenti ingrati e rei,
     e sia degno di questa e di più pena:
     e tutto quel ch’udito avea di lei,
     stima esser falso; e che vendetta mena,
     e mena astio ed invidia quel dolente
     a lei biasmare, e che del tutto mente.

18 La bella donna che cotanto amava,
     novellamente gli è dal cor partita;
     che per incanto Alcina gli lo lava
     d’ogni antica amorosa sua ferita;
     e di sé sola e del suo amor lo grava,
     e in quello essa riman sola sculpita:
     sì che scusar il buon Ruggier si deve,
     se si mostrò quivi incostante e lieve.

mercoledì 13 novembre 2013

Ludovico Ariosto e l'equilibrio del dolore


Da qualche settimana ho terminato la lettura dell'Ariosto. L'Orlando Furioso è davvero un caleidoscopio di personaggi e situazioni. Una giostra infinita dalla quale fino alla fine ti sembra impossibile scendere. Nonostante il suo pessimismo sulla capacità dell'uomo di rispettare i valori a causa della trascinante forza delle passioni: l'amore, l'avidità e l'invidia; l'Ariosto mantiene intatta una "politica di equilibrio" in tutta la sua opera. La sofferenza, il dolore, la rabbia, tutto è visto secondo l'ottica dell'equilibrio: le lacrime scendono sempre con la lente della ironia, della impossibilità di fare altrimenti. Non c'è scomposizione ma riequilibrio di tutte le forze in gioco. Molto semplicemente si può dire che tutto il positivismo dell'Ariosto si esprima nel suo stile. Nonostante questo bellissimo verso:
" Quel che l'uomo vede Amor gli fa invisibile e l'invisibil fa veder Amore "

giovedì 7 novembre 2013

Perché i preti non possono sposarsi

Nelle mie tante follie quest'anno ho ripreso in mano i vecchi libri di storia del liceo. 
Era un mio cruccio, qualcosa che mi portavo appresso da tempo: un buco nozionistico storico impressionante. Rispetto alla letteratura e alla filosofia, la storia è una materia che non ha mai saputo depositarsi a fondo nella mia memoria. 
Rileggendo le vicissitudini delle lotte fra potere imperiale e potere ecclesiastico, la famosa lotta delle investiture intorno all'anno mille, eccetera, eccetera; mi sono imbattuto sulla vera ragione per la quale i preti non possono sposarsi. 
Tempo fa discutevo con mia zia sul motivo per il quale il Papa non permette ancora ai preti di sposarsi. 
Io non mi posso definire cattolico, nè tanto meno completamente credente. Tuttavia non ho mai capito perchè i non cattolici debbano giudicare sempre i Cattolici. 
Comunque a parte queste cose, ho scoperto che più o meno, fino all'anno Mille preti e vescovi potevano sposarsi. Solo coloro che vivevano nei monasteri, quelli che abbracciavano la vita spiritale, facevano voto di castità. Il risultato? 
Questo un estratto di un libro di storia di seconda liceo: 
"I vescovi scelti dagli Ottoni (imperatori del tempo) non venivano scelti per le qualità religiose ma piuttosto per le capacità militari e una solida fedeltà all'imperatore. I vescovi erano spesso uomini ai quali piaceva vivere da gran signori. All'epoca tutto si poteva ottenere pagando: assoluzioni, sacramenti, cariche ecclesiastiche"
E ancora: 
"In generale i monaci, che vivevano in castità, si sentivano profondamente superiori ai preti che si sposavano tranquillamente e spesso conducevano una vita non molto diversa dai laici" 
"L'eliminazione della simonia doveva spingere il clero a una vita il più possibile pura, come quella dei monaci". 
La verità secondo me è una sola: non si può essere credibili nell'amore verso il prossimo, nell'azione verso il prossimo, se prima non si attua una rinuncia. E' la rinuncia il vero atto di fede, è solo così che si dimostra l'amore per gli altri, e si è pronti per gli altri. 
In fondo credo che la politica non dovrebbe essere diversa. I politici prima di entrare in politica dovrebbero fare subito una rinuncia: un imprenditore non dovrebbe mai essere un politico: nè prima nè dopo. Come faccio a pensare che sei pronto al bene comune se la tua coscienza è intaccata da un interesse privato? 

martedì 5 novembre 2013

L'uomo e Dio: la più bella scena nella storia del cinema. Il Settimo Sigillo

Ho scoperto questo film davvero per caso. 
Ho seguito il ciclo di puntate sulla storia del cinema andato in onda su Sky negli ultimi mesi. The Story of Cinema: an Odissey.
Ad un certo punto il documentario presenta una scena del Settimo Sigillo. Un cavaliere al ritorno dalle Crociate, accovacciato contro una grata di una finestra. Nel tentativo di nascondersi dal sole, ma nello stesso tempo di osservarlo senza essere visto dalla luce, parla di Dio con un frate al di là di una cella. Dio e l'uomo. Sentire la sua presenza e non poterlo vedere. Non accettare di essere il risultato di un folle avvicendarsi di casualità: arrivare dal nulla per tornare nel nulla. Perchè allora il suo respiro brucia sempre sulla pelle quando uno tenta di disfarsi di lui? Non c'è risposta. Il tormento di Dio trattato nella sua forma più alto. Un film sulla religione e sull'uomo. Sull'esistenza e sul senso di stare qui. Bergman non credeva in Dio? Perchè darsi tanta briga allora per manifestare la forza dell'anima che sta dentro l'uomo? 
Bergman è l'altra faccia di Malick. 
Non so per quale motivo ma quando l'uomo si interroga su Dio, quando l'artista passa dall'amore romantico all'amore spirituale, anche avverso, anche sofferto, dà sempre il meglio di sè.

http://www.youtube.com/watch?v=QIjfLs3B-l4

Vorrei confessarmi ma non ne sono capace, perché il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo soltanto disgusto e paura. Vi leggo indifferenza verso il prossimo, verso tutti i miei irriconoscibili simili. Vi scorgo immagini di incubo nate dai miei sogni e dalle mie fantasie.

sabato 2 novembre 2013

Sole a Catinelle.


Non ho potuto fare a meno di correre a vederlo. Era un po' che non assistevo ad una scena del genere: di fronte alle casse del cinema, un'orda di gente che si accapigliava per assicurarsi un biglietto per il film di Checco Zalone. Le vedi subito le persone che al cinema non ci vanno mai. Sono le famiglie numerose, quelle per le quali portare tutti al cinema rappresenta sempre un bel sacrificio. Eppure, non si può fare a meno di lasciarsi andare almeno una sera alla dolce ingenuità di una vita che può essere migliore, se osservata dietro la lente del sano ottimismo. Ottimismo non significa chiudere gli occhi ai problemi, ma cambiare prospettiva, modificare i nostri modelli interpretativi della realtà.
Da diversi anni ormai, questo personaggio così scanzonato, ma dall'intelligenza fine e spregiudicata, sa parlare alla pancia vera del paese. Senza mai sottovalutarlo, il personaggio di Checco, ha a cuore il suo pubblico, costruendo gag a volte immediate, a volte più sofisticate, a volte semplici, ma mai banali. I Romani dicevano "Satura tota nostra est". La risata liberatoria, in barba ai problemi, alla faccia di chi ci vuol male. E' quello di cui la gente ha ancora bisogno, ed è quello che in questo film risuona dall'inizio alla fine. E lo dico anche senza nessuna vergogna: mi sono commosso nell'osservare un viaggio di un padre e di un figlio che hanno il diritto di vivere una vita felice.