domenica 18 novembre 2012

Michele Mari - Verderame

Consiglio questo piccolo romanzo, prestato da un amico.
L'ho già detto in tanti altri post, ma lo ripeto: se un amico vi consiglia di leggere un libro, leggetelo! Se ve lo presta con desiderio, significa che non potete perderlo, vi sta facendo un regalo prezioso!
Troppo spesso non lo facciamo, ma ho imparato da tempo ad esaudire questo desiderio che ci arricchisce presto.
E' un romanzo che colpisce soprattutto per l'uso della lingua. Mai scontata, alternata al dialetto, forte e barocca, potente nell'uso di immagini mitiche e potenti, a volte disgustose ma pregnanti nella loro capacità di imprimersi nella memoria.
E' un romanzo che narra un'amicizia. Anche se sto osservando i miei amici a poco a poco sparire per le vicissitudini dell'esistenza, anche se alle volte penso che il cavallo dell'amicizia sia stato quello sbagliato su cui puntare, come uno scommettitore cieco e scapestrato mi ostino ancora oggi a puntare tutto lì. E anche se mi accorgo in certi momenti di ritrovarmi da solo, l'amicizia resta sempre il valore più incredibile che la vita ci offre.
Questa è l'amicizia fra un vecchio e un bambino. Un romanzo sulla memoria, che una nuova generazione dovrà essere in grado di riportare di nuovo alla luce

martedì 13 novembre 2012

Esiste l'anima?

Consiglio a tutti di leggere i dialoghi di Platone dove, a farla da padrone, è la figura di Socrate. Simposio, Apologia, Critone e Fedone. Alla fine, quando Socrate si congeda dagli amici, che sono venuti a trovarlo per l'ultima volta in cella, una lacrima l'ho versata. Prima di bere la pozione che lo condurrà alla morte, Socrate fa la cosa più incredibile: dice ai suoi amici di farsi coraggio. Non sono loro a rincuorare lui che sta per morire, non sono lui ad accarezzargli la testa prima dell'ultimo saluto. E' lui che li avverte: non piangete per me, perchè io non vedo l'ora di liberare la mia anima dalle costrizioni della carne. Ma esiste l'anima? Nell'ultimo monologo, il Fedone, Socrate mette a nudo e smonta ogni teoria che vuole l'anima una semplice appendice del corpo, una illusione pronta a sparire con il venir meno dell'impalcatura del corpo. In questi ultimi anni, alle domande esistenziali, mi risulta sempre più difficile credere in un Dio o in un'anima. E' il nulla a farsi strada, l'Ombra Junghiana. Però la poesia di Platone ti si scioglie dentro, e anche se non ci credi, non puoi fare a meno di avvertire calore ed emozione per queste parole. Come fa un bambino ad avvertire con tale falicità il senso dell'uguale, del più, del meno, del diverso? Come fanno certe categorie, certe teorie ad essere già pienamente dominate dalla sua mente? Semplice, l'anima è eterna, e lui c'era prima che il suo corpo venisse ad esistere. L'anima insomma esiste, e più è lontana dai desideri del corpo, maggiore sarà la possibilità che vada a coricarsi al fianco dei più grandi personaggi del pensiero.
 
E che altro è la pulizia dell'anima, di cui ragionamo, e ragionammo da tempo, se non il ritirarsi estremo dell'anima dalla carne, l'addestrarsi a un isolamento sovrano e assoluto dal corpo, in integro dialogo con se stessa, l'abitare in perfetta solitudine, nei limiti umani, oggi e in futuro, slegata, quasi, dalla trappola della carne?
 
 

martedì 6 novembre 2012

Si può stare insieme tutta la vita? Facciamo un po' di Simposio

Questa eterna domanda cade in continuazione. Direi quasi che ci perseguita. Nella era delle occasioni, di facebook, delle tentazioni perenni, dove conta desiderare più che onorare gli impegni. Non voglio fare il predicatore. Però questa cosa qui ce l'abbiamo dentro tutti. Ma questo che provo adesso durerà per sempre? Ne ho parlato anche in un mio vecchio post. Parlava della fine degli amori. Ma stavolta voglio parlare di quelli che durano, quelli che durano per sempre. Come quelli dei miei genitori, dei nonni e di molti altri. Come ce l'hanno fatta loro?
Come si fa?
Io a livello di esperienza sono un totale fallimento. Però ascolto chi ne sa più di me. Da un mese circa ho scoperto questo "divulgatore filosofico", si chiama Galimberti. In suo intervento mi ha fatto venir voglia di leggere i dialoghi di Platone, a partire dal Simposio.
Nel Simposio tanti filosofi discutono, durante una cena, sul tema dell'amore e, alla fine, Socrate dice la sua. Come al solito, le sue parole mettono in discussione tutto quello che gli altri avevano detto fino ad ora. Eros non è figlio di Afrodite e Ares, il dio della guerra. Altro che bellezza assoluta e indomita fierezza. Amore è figlio di Povertà e Coraggio. Amore è fame, mancanza, assenza. Amore è un semidio. L'anello di congiunzione fra noi e gli dei. Amore è insomma il linguaggio con cui la nostra parte razionale entra in contatto con quella irrazionale. Con la nostra follia, con la nostra debolezza. E allora, dice Galimberti, non bisognerebbe dire all'altro "amo te", ma "io amo il modo in cui entro in contatto con la mia follia grazie a te". Ecco perchè si dice "mi fai impazzire", "solo tu mi capisci", "ti amo da matti".
Quindi come si fa a stare insieme tutta la vita? Semplice, non dicendosi sempre tutto. Bisogna conservare un'attezione su se stessi, preservare ogni giorno la parte più intima di noi stessi, lasciare che una parte insondabile del nostro essere maturi, permettere che non venga mai davvero completamente a galla, che qualcosa ci sia sempre da scoprire in noi, ogni giorno. Perchè, se l'altro sa già quello che vogliamo dire prima ancora che apriamo bocca, allora possiamo dire che l'amore è proprio finito.

giovedì 1 novembre 2012

Musica per dimenticare - per rilassare i nervi - per entrare in paradiso

Questo post, come al solito, è volutamente provocatorio.
Se avessi scritto nel post esclusivamente il titolo dell'opera che voglio postare, credo che non intercetterei manco una visualizzazione. Purtroppo bisogna fare di tutto per attirare l'attenzione!
In questo ultimo periodo sto riprendendo in mano i vecchi cd. Quelli che non ascoltavo più da anni. La musica classica, insomma, in tutte le sue forme e generi. La musica classica ti inchioda a te stesso, è questo il suo potere. Non ti penetra nei nervi come la musica elettronica o pop. Non ti cuoce nel sentimentalismo della musica leggera. Ti avvolge lentamente, ti rende consapevole, arricchendo il tuo io, fino a farti abbandonare le tue angosce, le tue paure, i tuoi desideri inespressi.
Insomma la musica classica davvero ti fa dimenticare, non è un beneficio momentaneo, ti dura.
Se dovessi mai entrare un giorno in Paradiso e ascoltare la musica che sente Dante quando supera quella soglia, vorrei che ci fosse questa negli altoparlanti del cielo. E' il quarto movimento della serenata per archi di Dvorak, poi ditemi se non vi sembra di vederlo un pochino di Paradiso.