lunedì 27 aprile 2015

Ninphomaniac. Lars von Trier. Il film che ti piace dopo un po' che l'hai visto.


Ci sono sempre film che non capisci, così come i libri, o i quadri, o una musica. Proprio non ti dice niente, quasi ti dà fastidio, ti turba, ti scuote dentro, forse ti annoia. Però poi con il passare del tempo, quel suono, quell'immagine, quel verso, non si sa il perchè ma ti torna in mente. Non si è fatto rapire dai giorni, dallo scorrere lento del tempo, non l'hai dimenticato, si è depositato. E' il fascino segreto di una forma d'arte come il cinema ad esempio. 
Non ho amato affatto all'inizio questo film così esplicito. Ma giorno dopo giorno mi sono ritrovato a pensarlo sempre più spesso. Non posso negare che la sessualità sia uno dei temi che mi sta più a cuore. Fa parte dell'animo umano, è la lanterna primigenia. In nuce, dentro ognuno di noi, vibra e non si spegne. E' l'uomo delle caverne, quello con la clava, quello pieno di peli. Quello che quando vedeva un fulmine se la faceva sotto dalla paura. 
Ninphmaniac è un film che ti piace dopo, quando ci ripensi. La protagonista di questo film, Joe, dedica tutta la sua esistenza alla esplorazione del sesso, in tutte le sue forme e perversioni, raccontando a un filosofo che la pesca per strada tutta la sua vita disastrata. 
La vita, la nostra vita, è costellata di sovrastrutture. Sono le cose che fanno di noi animali diversi dagli altri: il lavoro, la religione, la filosofia, l'arte, la cultura. La famiglia, l'amore. Gli affetti. L'empatia universale. Joe, la protagonista, cerca una vita senza sovrastrutture: libera dal bene e dal male, piena esclusivamente del tamburellare magnetico del sesso. Lì non sarò tradita, pensa. Non posso rimanere delusa da qualcuno che non mi ama più, da un figlio che fugge di casa, dalla morte di una persona cara. Nel sesso tutto si annulla: persino il tempo, incastrato nell'eternità di un orgasmo. 
Ninphomaniac volume uno e due, è un film che può far male. Ma ha il pregio ineguagliabile di cercare ancora una volta un nuovo linguaggio. Un linguaggio che possa ribadire quanto siamo fragili e insostituibili. 

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