mercoledì 15 aprile 2015

Tony Servillo. La parola canta. Il più bello spettacolo teatrale della stagione.

Nella mia vita molte cose sono cambiate, e fra il poco tempo e i miei tentativi di finire il mio (diciamolo pure) inutile secondo libro, aggiorno poco il mio blog che (diciamo pure questo) non è che riscuota un gran successo.
 Così continuando ad esercitare per naturale predisposizione l'esigenza fisiologica di scrivere eccomi qui a parlare di questo spettacolo.
Tony Servillo ormai è un monumento del cinema italiano. Il mio è stato praticamente Amore a prima vista. Artisticamente i suoi personaggi sono stati fondamentali nel mio percorso visivo. Dall'Uomo in più fino alla Grande bellezza una parabola in continua ascesa. E c'era da immaginarselo vista la sua incommensurabile bravura.
Ieri sera corro allo Streheler: un ora e mezza fatta di musica e poesia. Un vero recital dove ogni cosa è studiata nel minimo dettaglio: dall'uso sapiente degli strumenti, dal movimento degli attori, che si alzano e si siedono dando spazio l'uno all'altro: i due fratelli Beppe e Tony.
Io amo Napoli perchè mia mamma era di giù, con lei, quando c'era, parlavamo solo napoletano. Eppure ho fatto fatica ad intercettare tutte le parole usate da Servillo. Poi ho capito.
Tony Servillo, in barba a qualsiasi voglia da cartolina, usa il napoletano come vera pietra lavica. La mastica, la sputa, la forgia come un Vulcano nella sua fornace. La torce, la scompone, l'annulla. E' spietato nel mettere a dura prova l'ascoltare, frastornato fra mille ripetizioni, urla del vicolo, parole quasi inventate, spezzate, buttate. Servillo non si risparmia, usa fino all'ultimo fiato, fino all'ultima goccia di sudore per il pubblico. Ma non concede niente alla facilità. C'è solo un momento in cui il pubblico può distendersi, la magnifica favola del mariuolo che crede di andare in Paradiso.
I veri napoletani per me sono sempre stati quelli che comprendono il limite di Napoli, l'infinita potenza del suo linguaggio, ma anche la capacità di dare spazio al silenzio, di non accanirsi nel cercare di spiegare per forza tutte le contraddizioni che vive questa città.

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