venerdì 7 novembre 2014

Mi piacciono i romanzi lunghi: Ken Follet, i giorni dell'eternità.

Se c'è una cosa che non mi piace è finire un libro. Non è che ne tragga un grande piacere. All'inizio della mia avventura di lettore sì, certo, magari è bello dire a tutti leggo 30 libri all'anno, 40, 50, 100. 
Ma poi? A cosa serve mangiare i libri? 
Io quando leggo sospendo la mia esistenza, e divento qualcosa d'altro. Un marinaio, un soldato, un imprenditore senza scrupoli, una donna in carriera, un detective, un attore, un fantasma, un musicista. e via così. Vivo avventure, vedo posti incredibili, le emozioni mi scavano dentro. La vita in sé, soprattutto alla soglia dei trentacinque anni, riserva tragiche sorprese, paura del futuro, chissà se mi sveglierò domani. La morte comincia ad annunciarsi nelle persone che ti stanno accanto, e i brutti pensieri si accavallano. 
La lettura blocca tutto, soprattutto quella lunga. Quando le pagine sono mille, milleduecento come nel caso dei Giorni dell'eternità, le storie sembrano non abbandonarti più. Non arriverà all'ultima pagina e un altro cliente mi darà del pirla, non arriverò all'ultima pagina e mi accorgerò che fa un freddo del diavolo fuori, che lo Stato ha in mente nuove tasse, che non so se l'economia mondiale mi assicurerà la speranza di una famiglia e un vero futuro. 
Nei romanzi di Follett, i personaggi diventano amici, le ambientazioni così familiari che ti sembra di guardare fuori dalla finestra quando apri un suo libro. 
I giorni dell'eternità è forse il romanzo meno riuscito di tutta la trilogia. La guerra fredda sembra raffreddare un po' lo stile, le vicende alle volte si trascinano senza un vero colpo di scena, stancamente. Ma l'ho amato comunque, perché nei suoi libri avverti lo scorrere del tempo, i bambini diventano adulti, diventano vecchi, e alla fine muoiono. Ti sanno accompagnare, con la loro fiducia nel futuro, con la voglia di combattere ogni destino.

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