giovedì 29 maggio 2014

Lettera al padre. Franz Kafka


Il primo autore che si è scontrato con la mia adolescenza è stato Franz Kafka. Il primissimo devo dire, fra la fine delle medie e l'inizio delle superiori. Il motivo fondamentale per cui questo autore viene amato così tanto dai giovani credo sia dovuto alla luce che proietta sul sentimento comune che ci travolge a quest'età. La colpa, il senso di colpa che ci attanaglia la carne quando cominciamo ad affacciarci al mondo. Si comincia ad allontanarsi dal nido, si sente il bisogno di altro, di un amore magari, o solo di una banale indipendenza, le serate con gli amici, la musica nelle cuffiette dentro la propria stanzetta, le pagine di un libro. Così si comincia ad esplorare il mondo e ad abbandonare il nucleo che ci ha visto nascere. Ciao papà, ciao mamma, io vado, io esco, io sto via una notte, io vado in vacanza all'estero, io vado vivere all'estero. E' impossibile non sentirla quella colpa, la pietra sul cuore, quando stiamo via tanto, quando abbandoniamo le attenzioni, la cura di un genitore. Diventa la colpa di vivere, il male che si esprime nel voler essere soli. Soprattutto quando il mondo con la sua forze è capace di stritolarci. Sta tutta lì la bellezza di Kafka, e per una volta, in questa lettera straziante, la vediamo in tutta la sua semplice essenza. Non più scarafaggi, o macchine infernali, processi senza spiegazioni o scimmie incomprese che fanno lezioni in un'accademia, castelli che promettono lavori ben pagati, cunicoli senza via d'uscita, niente sovrastrutture ma la nuda verità familiare. La colpa dei padri è la stessa colpa dei figli. E' difficile crescere, rispettare le nostre origini, senza fare del male. 

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