Sto per concludere anche la lettura del Nuovo Testamento.
Mi ha fatto un certo effetto imbattermi in questo inno alla carità di San Paolo. Un certo effetto dovuto al fatto che letto così, quai alla fine della Bibbia, mi sembra davvero il vertice di un cammino lungo e anche tortuoso che mi ha portato a leggere fino in fondo questo testo infinito. Parole che spesso ti scuotono, immagini che ti assalgono, rappresentazioni a volte violente e senza sfumatura alcuna.
Questo testo prende davvero il suo senso più alto solo se ci si arriva dall'inizio, un po' come scalare una montagna, attraversare un deserto, al di là di una tormenta, al di là delle paure, fuori dall'ipocrisia, via dai luoghi comuni, lontano dai limiti di ogni uomo.
E' un testo che la tradizione moderna ha saccheggiato, basti pensare a Nicholas Spark nel libro amatissimo dalle teenager nate negli anni ottanta: "I passi dell'amore". Un testo rapito al suo senso vero per trasmigrare alle funzioni di scritta da cioccolatino. RIcordiamo anche la canzone di Neck "se non ami" che cita praticamente tutto il testo.
Dobbiamo sempre prendere da ogni cosa il significato che ci fa più comodo, il testo non parla di amore, ma di carità. Eppure tutti in questa era gonfia di amore romantico hanno voluto chiaramente intepretarlo come più faceva comodo. E' carità infatti il significato vero del termine agape usato da San Paolo. E' un testo che anche un laico ed agnostico come me inchioda e ispira. Quello di cui parla San Paolo potrebbe essere intepretato come il senso a cui la vita in un mondo ideale dovrebbe tendere: la cura incondizionata verso il prossimo, come strumento unico per dare senso alla vita.
Sarebbe proprio bello saper vivere così, ve lo riscrivo qui, anche se molti lo ricordano a memoria ormai:
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