domenica 3 giugno 2018

Germinal

La domanda centrale di tutto il romanzo sembra essere una sola. Posta sempre in maniera differente, risuona come una nota minacciosa per tutte le pagine del libro. 
Ma l'uomo è un essere degno di questo pianeta? 
A un certo punto due personaggi del libro si interrogano su quale possibile equilibrio l'umanità potrà mai raggiungere. I grassi smetteranno mai di mangiare alle spalle dei magri? E i forti smetteranno mai di sfruttare i più deboli? 
L'aspirante sindacalista, colui che smosso le coscienze dei minatori contro i padroni, chiede al navigato e più acculturato compagno di origine russa se tutto i loro sforzi saranno efficaci. E se davvero gli operai prendessero il potere non rischieremmo solo di vedere nuovi potenti sostituire quelli vecchi? Allora, se davvero nessuna speranza rimane per l'uomo di vivere in pace uno con l'altro, forse meriteremmo davvero di essere estirpati dalla terra come quelle piante cattive che distruggono tutto quello che c'è intorno. Così risponde il compagno.
Meritiamo di stare qui? O siamo un cancro? 
Non credo sia una domanda stupida, non l'ho mai pensato. E questa parabola paradigmatica sembra formalizzarne l'essenza. 



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